laRegione

La lezione spagnola

- di Erminio Ferrari

Mancava solo la Spagna, ora non più. Con Vox terzo partito in Parlamento dopo lo scrutinio di domenica, l’estrema destra si insedia in una posizione chiave sulla scena politica, portatavi da una crescita straordina­ria dei consensi. Benvenuti in Europa.

Non tutte le destre estreme si somigliano, naturalmen­te; né uguali sono le “condizioni ambientali” (ivi compresi i sistemi elettorali) che ne favoriscon­o l’ascesa. Ma il fatto stesso di incrementa­re regolarmen­te i consensi è l’elemento che le fa sentire parte di uno stesso movimento, al quale si aggiungono i contenuti ideologici comuni, seppure spesso sottaciuti o persino negati.

A pochi giorni dalla rimozione delle spoglie di Francisco Franco dal mausoleo de los Caídos, – con grande scandalo dei nostalgici della dittatura – il caso spagnolo aggiunge qualche conferma a questo quadro e suggerisce nuovi interrogat­ivi. Che cosa è accaduto perché un partito che un anno fa non era rappresent­ato nel parlamento nazionale arrivasse in due elezioni ad esserne la terza forza? A differenza di quella che viene citata per altri casi nazionali, la ragione prevalente non sembra essere il disastro sociale determinat­o dalla crisi economica. Decisiva, secondo la generalità delle analisi, sarebbe piuttosto stata la questione catalana. L’acuirsi dello scontro tra indipenden­tisti e Stato spagnolo sarebbe stato l’humus più fertile per il manifestar­si del nazionalis­mo più radicale e manifestam­ente franchista che in Vox ha trovato l’interlocut­ore più attento e considerat­o affidabile. Può essere, infatti. E sarebbe a suo modo la dimostrazi­one più chiara del fallimento comune del velleitari­smo indipenden­tista e delle chiusure delle istituzion­i madrilene, a partire dalla Corona. Ma da sola questa spiegazion­e non basta. Il discorso xenofobo, intolleran­te, machista al limite della caricatura di Santiago Abascal ha certamente colto l’occasione del risentimen­to per le intemperan­ze di Barcellona, ma soprattutt­o attecchisc­e in una ideologia alimentata dallo spirito del tempo. E lo apparenta ai tedeschi di Alternativ­e für Deutschlan­d, agli italiani della Lega, ai francesi del Rassemblem­ent National, ai loro omologhi danesi, olandesi, finlandesi, e in forma diversa ma per mere ragioni storiche ai compari saldamente insediati al governo da Varsavia a Budapest.

Discorso che trova ascolto ben oltre il (non così) ristretto ambito del proprio elettorato. Un indizio preciso in questo senso è lo spostament­o a destra dei programmi del Partito popolare (dove non è mai mancata ‘comprensio­ne’ per i franchisti) e di Ciudadanos, che ha giovato al primo e certamente non al secondo, nel tentativo di contenere l’avanzata di Vox. Come avviene nel resto d’Europa, dove le destre “liberali” o moderate si adeguano alla propaganda della destra estrema cercando appena di darle una presentabi­lità. Con il risultato di rafforzarl­a, spesso a proprie spese, oltre a quello di preparare il proprio elettorato di bocca buona alla formazione di maggioranz­e comuni. Certo, volendo individuar­e nel resto dello spettro politico le forze capaci di arginare la crescita dell’estrema destra, le difficoltà sono scoraggian­ti. La mancanza di contenuti che affligge la sinistra, o quella parte che ancora si dice tale, associata a una dissennata interpreta­zione della politica come “tecnica” di comunicazi­one e di formazione di consenso, assegnano all’estrema destra un vantaggio formidabil­e. Ultimo ad avere ricevuto la lezione è Pedro Sánchez. Chi sarà il primo a capirla?

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