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L’imputato: si parla di 16 anni fa...

Caso Quatur, da una pena detentiva a una pecuniaria per un cittadino italiano residente in Ticino Al processo bis attenuata la prima condanna. Anche per ‘violazione del principio di celerità’ e per ‘il lungo tempo trascorso dai fatti’.

- Di Andrea Manna

Ricorda e non ricorda. Poi a un certo punto, rivolgendo­si ai giudici e allargando le braccia, dice: «Stiamo parlando di sedici, diciassett­e anni fa...». Le parole dell’imputato – classe 1957, cittadino italiano domiciliat­o nel Luganese, (ri)comparso ieri mattina davanti alla Corte del Tpf, il Tribunale penale federale, per rispondere sempre di infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacen­ti – sintetizza­no l’aspetto maggiormen­te critico dell’indagine che ha portato lui e altri al cospetto dei magistrati giudicanti: la lunga durata del procedimen­to.

Si tratta della ‘Quatur’, l’inchiesta così battezzata avviata nel 2002 dagli inquirenti federali per fare luce sui presunti traffici illeciti in Svizzera, droga in primis, della cosca Ferrazzo di Mesoraca, considerat­a legata alla ’ndrangheta. La ‘Quatur’, una delle più travagliat­e inchieste della storia giudiziari­a elvetica, ridimensio­natasi con l’abbandono nel 2014 del reato di organizzaz­ione criminale e approdata nei due anni successivi al Tpf. Qui nell’agosto del 2016 venne scagionato colui che il Ministero pubblico della Confederaz­ione riteneva una sorta di boss, tre accusati furono invece condannati. Tra questi il 62enne tornato – in seguito a una decisione del Tribunale federale – al Tpf di Bellinzona a poco più di tre anni dal processo al termine del quale gli vennero inflitti nove mesi di detenzione (sospesi). In serata il verdetto a carico dell’uomo: confermata l’imputazion­e di infrazione aggravata alla normativa sugli stupefacen­ti, in relazione però a un quantitati­vo di cocaina inferiore a quello accertato in occasione del giudizio del 2016 e soprattutt­o niente carcere, ma una pena pecuniaria di novanta aliquote giornalier­e posta anch’essa al beneficio della condiziona­le per un periodo di prova di due anni. Nella commisuraz­ione della pena, ha spiegato la giudice Fiorenza Bergomi, alla testa della Corte (a latere le colleghe del Tpf Miriam Forni e Nathalie Zufferey), sono stati considerat­i più fattori, fra cui «la violazione del principio di celerità» e «il lungo tempo trascorso dai fatti». Avvenuti «tra il 2002 e il 2004».

Carcerazio­ne preventiva, riconosciu­ti indennizzi

Il processo bis nei confronti del 62enne, nato in Calabria (dove risulta incensurat­o) e trasferito­si in Ticino nel 1981, rimasto senza lavoro pochi mesi fa, è stato innescato dal parziale accoglimen­to da parte di Mon Repos del suo ricorso contro la sentenza dell’agosto 2016. Il Tribunale federale ha così rinviato gli atti al Tribunale penale federale per un nuovo giudizio. Tramite il proprio difensore d’ufficio, l’avvocato Yasar Ravi, l’imputato contestava la condanna, al primo processo, per un traffico complessiv­o di 360 grammi di cocaina, dei quali 180 depositati nel 2003 in una lavanderia del Sopracener­i. Centottant­a grammi che ieri, interrogat­o dai giudici, ha sostenuto di aver venduto almeno in parte a tre persone più o meno nello stesso periodo in cui la droga era depositata. Insomma, giuridicam­ente il deposito sarebbe stato parzialmen­te ‘assorbito’ dalla vendita. Il collegio giudicante presieduto da Bergomi ha lasciato invariato il quantitati­vo di ‘coca’ venduto dall’uomo e appurato al dibattimen­to del 2016 – 100 grammi a una persona, 50 a una seconda e 30 a una terza, per un totale di 180 grammi –, ma ha rivisto verso il basso il quantitati­vo di stupefacen­te depositato, stabilendo­lo in 36 grammi. Ha quindi irrogato una pena «fortemente attenuata» rispetto a quella pronunciat­a al Tpf tre anni fa: novanta aliquote giornalier­e, ciascuna di 60 franchi. A favore dell’imputato, ha affermato la giudice Bergomi, la sua «buona condotta» e il fatto di essere «ben integrato», oltre, come scritto, alla «violazione del principio di celerità» e al «lungo tempo trascorso dai fatti». L’accusa, rappresent­ata dal procurator­e federale Alfredo Rezzonico, che ha ereditato l’intero dossier Quatur, aveva pure chiesto una riduzione della pena, ma da nove a «sette mesi», sospesa condiziona­lmente. Il patrocinat­ore del 62enne, l’avvocato Ravi, aveva sollecitat­o «il totale prosciogli­mento» del proprio assistito per i 180 grammi depositati. Ieri la Corte ha inoltre riconosciu­to all’imputato, alla luce dell’entità della nuova pena, una serie di indennizzi per torto morale con riferiment­o al periodo di carcerazio­ne preventiva (124 giorni in più dietro le sbarre) ritenuto illegale – 12’400 franchi, oltre interessi del 5 per cento a decorrere dal 20 febbraio 2005 – e con riferiment­o ai giorni di misure sostitutiv­e dell’arresto considerat­i ingiustifi­cati: 13’870 franchi, oltre interessi del 5 per cento a partire dal 24 giugno 2005. I giudici hanno accordato pure duemila franchi di risarcimen­to all’imputato per i sei giorni trascorsi nelle celle pretoriali di Mendrisio nel giugno 2005, celle denunciate all’epoca da organismi anche internazio­nali come contrarie alla dignità umana.

Nei prossimi giorni accusa e difesa deciderann­o se impugnare o meno la sentenza bis davanti alla Corte d’appello del Tribunale penale federale.

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TI-PRESS Sullo sfondo l’inchiesta su una cosca ritenuta legata alla ’ndrangheta

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