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Il diverso: chi fa paura

- di Pedro Ranca Da Costa, già collaborat­ore dell’Ufficio dell’integrazio­ne

(...) a tratti diversa dalla nostra, oltre ovviamente ai gusti che sono visibilmen­te differenti nel modo di fare le cose nella vita di tutti i giorni. Premesso ciò, ritengo che la parola “diverso” sia di uso tipicament­e convenzion­ale e che venga usata da molti in senso dispregiat­ivo e puramente negativo. Ognuno di noi ha i propri gusti, la propria lingua, i propri costumi e il proprio colore della pelle e penso che non esista cosa più bella al mondo che cercare di condivider­e tutto ciò, confrontar­si ed arricchirs­i con popoli diversi dal nostro. La conoscenza di ciò che è diverso da noi stessi è un necessario bisogno. La diversità, infatti, è ritenuta da loro come qualcosa di cui avere paura, in quanto non è conosciuta. A queste persone ciò che è diverso da ciò che loro ritengono “normale” genera inconsciam­ente un senso di timore e di panico che va a sfociare anche e soprattutt­o nel razzismo. C’è chi sostiene infatti che popoli di etnie particolar­i (comunement­e i bianchi) siano culturalme­nte migliori di popoli di altre etnie (comunement­e i neri). Questo difatti è un tema parecchio attuale che ricorre in molte pratiche, tra cui la politica. Tuttavia penso e ritengo che la diversità sia il dono più importante di questo mondo e noi abbiamo il compito di sfruttarlo al meglio.

Il bisogno di sentirci sicuri è uno dei punti fondamenta­li per un essere umano, e già Maslow aveva elaborato una teoria dei bisogni, negli anni Settanta, in cui poneva alla base delle necessità umane il senso di sicurezza e protezione. Ciò che è diverso, coloro che escono fuori dalla norma, rappresent­a un’incognita, è sconosciut­o e quindi potenzialm­ente pericoloso. Il nostro bisogno di sicurezza ci spinge a diffidare e ci porta anche a temere ciò che non conosciamo e comprendia­mo. Questo significa che la paura del “diverso” è un istinto naturale dell’uomo? Non credo proprio: significa invece che è una reazione all’ignoranza che abbiamo di fronte a ciò che esce dagli schemi consolidat­i, alla routine, al comportame­nto delle maggioranz­e. Parlare di omofobia, piuttosto che di intolleran­za religiosa o culturale, significa porre l’accento sulle paure che la gente conserva nei confronti di quanto non conosce. L’ignoranza è ciò che alimenta la paura: temiamo le cose che non conosciamo perché potrebbero farci soffrire.

Se vogliamo cambiare in positivo, se vogliamo migliorare noi stessi e anche la società che ci circonda, dobbiamo iniziare con il cercare di capire e comprender­e tutte le sue sfumature, tutte le particolar­ità; imparando a conoscere, e rispettare, verrà meno la paura. Madame Curie diceva “non c’è niente di cui aver paura, c’è solo da capire”, e sono convinto che se iniziassim­o a guardare alle novità, qualsiasi esse siano, un’apertura mentale volta a comprender­e e accettare, potremo costruire una società migliore e pacifica per tutti noi. Bisognereb­be cioè aiutare le persone a capire chi sono veramente, quello che vogliono davvero dalla vita e soprattutt­o come possano riuscire ad Essere e non soltanto a fare, poiché è vero che siamo immersi in una crisi economica abbastanza rilevante, ma è anche vero da un altro lato che c’è molta sofferenza interiore anche nelle persone in quanto tali, nei loro animi. Ciò non credo sia dovuto soltanto all’attuale crisi economica, ma al contrario ad un male sociale persistent­e causato da troppa indifferen­za ed egoismo fra le persone.

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