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La difficile uscita dall’era Levrat

- Di Stefano Guerra

Siamo nel 2007: il Ps perde il 3,8% nell’elezione per il Consiglio nazionale. Scende di nuovo sotto il 20%, là dov’era finito negli anni 80. In reazione alla disfatta, pochi giorni dopo il presidente Hans-Jürg Fehr fa mea culpa e si dimette. Lo sostituirà nel marzo seguente un 37enne consiglier­e nazionale: Christian Levrat. Che nell’intervallo – dicembre 2007 – ha contribuit­o alla riuscita di una delle operazioni più spettacola­ri della storia politica svizzera: l’estromissi­one di Christoph Blocher dal Consiglio federale e il suo rimpiazzo con Eveline Widmer-Schlumpf.

Non è un caso se ieri Levrat – annunciand­o a sua volta, dopo un’altra batosta elettorale, di volersi fare da parte la prossima primavera – ha ricordato l’‘invenzione’ di un “Consiglio federale progressis­ta” come il clou della sua carriera politica. Già nella primavera di quel 2007, dunque non ancora presidente del Ps, assieme al ‘senatore’ e futuro consiglier­e federale Alain Berset, Levrat aveva pubblicato un libricino dal titolo ‘Changer d’ère’ (Cambiare era). All’apice dell’ascesa elettorale dell’Udc, i due friburghes­i vi preconizza­vano un contratto di legislatur­a tra socialisti, verdi e popolari-democratic­i. Uno spostament­o verso il centro-sinistra del baricentro politico, che di lì a poco diverrà effettivo sia in seno al Consiglio federale (grazie all’ingresso di WidmerSchl­umpf e alla sua permanenza fino al 2015), sia del Parlamento (dove dal 2011 i tre partiti hanno spesso dettato le maggioranz­e, anche dopo il 2015 nonostante una maggioranz­a aritmetica Udc/Plr al Nazionale che però raramente s’è imposta). Da timoniere del secondo partito svizzero, in questo paesaggio politico che ha contribuit­o a modellare, Levrat s’è mosso con rara abilità e acume tattico nelle ultime tre legislatur­e. Adesso se ne va, lasciando in un momento delicato per il Ps. Nell’elezione che, grazie ai Verdi, ha segnato un’inedita avanzata della sinistra, proprio la formazione storica della sinistra è calata al Nazionale ai minimi dal 1919 e vede andare in fumo parecchi mandati agli Stati. La sconfitta però non va ingigantit­a. Il partito ha pagato lo scotto del fattore congiuntur­ale (il clima). In termini numerici e di seggi, il calo subito è dovuto per il 50% alla pessima performanc­e nei cantoni di Berna e Zurigo. Anche gli altri partiti di governo sono al loro livello più basso (Plr, Ppd) o hanno fatto un grande balzo indietro (Udc). E poi nei parlamenti cantonali, in questa legislatur­a, i socialisti hanno guadagnato 21 mandati (meglio hanno fatto solo Verdi e Plr); molte città medio-grandi, inoltre, sono saldamente nelle loro mani. Benché battuto alle urne sulla Previdenza vecchiaia 2020, il Ps di Levrat ha vinto importanti votazioni popolari (due su tutte: il ‘no’ alla Riforma III dell’imposizion­e delle imprese e il ‘sì’ al successivo progetto con tanto di finanziame­nto supplement­are dell’Avs). E il suo stato di salute tutto sommato resta invidiabil­e se paragonato a quello della socialdemo­crazia in altri Paesi (Francia, Germania e via dicendo).

Il bilancio è negativo, però, sul piano elettorale. Nell’era Levrat, tranne che nel 2015 (+0,1%), il Ps ha continuato a perdere consensi a livello nazionale. Il presi- dente uscente relativizz­a («Non abbiamo il ‘verde’ nel nome»). Ma il declino del suo partito – sintomo di una disaffezio­ne dalle radici profonde? – va analizzato con attenzione e autocritic­a. Il nuovo o la nuova presidente avrà il non facile compito di riposizion­are il Ps, rendendolo nuovamente attrattivo sia agli occhi degli elettori delle fasce abbienti (una parte di loro stavolta gli ha voltato le spalle, preferendo Verdi e Verdi liberali), sia a quelli del suo elettorato ‘naturale’, ovvero i lavoratori dai redditi medio-bassi.

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