Riaperto il fronte di Gaza
Escalation di tiri tra Israele e la Striscia dopo l’uccisione del capo militare della Jihad islamica Pioggia di missili sullo Stato ebraico dopo l’uccisione mirata di Baha Abu al-Ata. Popolazione nei rifugi e nuovi bombardamenti. Una sfida per la leadersh
Gerusalemme – Era annunciata da settimane ed è arrivata: la piccola, ricorrente guerra tra Israele e i palestinesi rinchiusi a Gaza ha ripreso fuoco. L’uccisione, ieri mattina, di Baha Abu alAta, comandante militare della Jihad islamica a Gaza, ha immediatamente scatenato il lancio di oltre duecento razzi su Israele. In serata il bilancio a Gaza era di almeno dieci morti e 45 feriti nei raid israeliani contro i miliziani. In Israele, dove circa il 90% dei missili è stato intercettato dal sistema di difesa Iron Dome, si contano decine di feriti per le cadute mentre la gente correva nei rifugi. Lo scontro in atto è il più grave da mesi e gli esiti non sono prevedibili. Poche ore prima dell’uccisione mirata di al-Ata, un altro comandante della Jihad islamica, Akram Ajuri, è stato oggetto a Damasco di un attacco che la stampa siriana ha attribuito agli israeliani.
“Israele non vuole un’escalation ma farà tutto il necessario per difendersi”, ha detto il premier Benjamin Netanyahu al termine di una riunione del Consiglio di difesa, accusando al-Ata di essere lo stratega dei tiri di razzi contro Israele e di avere pianificato una serie di nuovi attentati. Viceversa, la Jihad ha affermato che la sua reazione “farà tremare l’entità sionista”. Israele, ha avvertito Ziad Nahale, uno dei leader della fazione,“ha oltrepassato tutte le linee rosse. Reagiremo con forza”. Mentre da Ramallah, in Cisgiordania, il presidente palestinese Abu Mazen ha definito l’assassinio di al-Ata “un crimine israeliano contro il nostro popolo a Gaza”.
Israele ha inviato al confine con la Striscia rinforzi di mezzi blindati, di unità di fanteria e anche ufficiali della riserva, ma al momento sembra voler tenere fuori dallo scontro Hamas, che pure governa l’enclave palestinese. Per questo ha fatto sapere ai suoi comandanti che se non si unirà al fuoco della Jihad, non colpirà i suoi obiettivi. Ma il leader Ismail Haniyeh ha garantito che “la politica israeliana delle esecuzioni mirate non avrà successo”.
Le prossime ore saranno dunque decisive per capire se il conflitto si allargherà, mentre l’Egitto sta mediando con l’obiettivo di riportare la calma. A Gaza intanto la popolazione si è chiusa nelle abitazioni e le strade sono piombate nel buio a causa delle ripetute interruzioni di elettricità. Di fronte ai panifici si sono viste code di persone accorse a fare scorte nella preoccupazione che un’escalation militare con Israele sia questione di ore. Mentre in Israele il Comando militare ha dato disposizioni alla popolazione di seguire le istruzioni impartite e di stare vicino ai rifugi.
“Una bomba a orologeria”. Così Benjamin Netanyahu ha descritto Baha Abu al-Ata, il comandante delle Brigate alQuds – ala militare della Jihad islamica – nel Nord della Striscia, ucciso lunedì notte.
Ma ora che la bomba è scoppiata per mano di Israele, attenzione e timori sono rivolti a quali altre esplosioni sono da attendere. Il governo israeliano ha insistito ancora ieri nel dire che non intende ingaggiare una nuova guerra contro le milizie palestinesi di Gaza, ma di non essere disposto a tollerare nuovi lanci di missili dalla Striscia sul proprio territorio.
Mentre non è sfuggito agli osservatori il tentativo israeliano di volgere a proprio vantaggio le divisioni neppure troppo latenti tra la dirigenza di Hamas, che detiene il controllo della Striscia, e la Jihad islamica. Lo stesso Baha Abu alAta, che si era fatto una posizione nell’ultimo anno in veste di comandante delle brigate al Quds, aveva via via insidiato il primato di Hamas, sottraendosi al suo controllo e agendo di propria iniziativa, come testimoniano i ripetuti tiri di razzi su Israele “contro” una tattica attendista di Hamas. D’altra parte la Jihad islamica non solo è la seconda milizia nella Striscia, ma soprattutto gode, o millanta una più stretta relazione con l’Iran. Forte della quale ha anche rifiutato di adeguarsi alle tregue negoziate dall’Egitto con Israele a nome di Hamas. Quest’ultimo, che contro Israele ha già combattuto tre guerre, sembra in questa fase fare affidamento sul Cairo piuttosto che sui missili, ma è chiaro che in caso di un conflitto aperto non potrebbe non sentirsi obbligato a gettarsi nella mischia, se non altro per non farsi insidiare la leadership politica e militare nella Striscia. E forse è proprio quello che cercava al-Ata. Ma a cercare lui era anche Israele: già nel 2014 aveva tentato di eliminarlo. Cinque anni dopo l’ha trovato.