L’Unione europea impone l’etichetta sui prodotti dai territori occupati
Bruxelles – I prodotti alimentari provenienti dai territori occupati da Israele dovranno recare l’indicazione dell’area di origine, in modo tale che i consumatori possano fare “scelte informate” per i loro acquisti.
La civile sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea è già stata deprecata come un “attacco a Israele” da parte del governo Netanyahu, il cui Ministero degli esteri ha avvertito che la decisione “riduce le probabilità di raggiungere un accordo di pace”. Singolare interpretazione di una elementare norma di diritto. O ricatto, associato alle notizie sulla nuova escalation degli scontri tra Israele e le milizie palestinesi di Gaza.
Non da ieri, l’Unione europea si oppone, almeno a parole, all’espansione degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. Non solo per la loro natura illegale, ma anche perché rappresentano l’impedimento maggiore, e probabilmente definitivo, alla cosiddetta “soluzione a due Stati”, di giorno in giorno sempre più chimerica.
Anche la Corte di giustizia europea nella sua decisione ha sottolineato che gli insediamenti “esprimono concretamente una politica di trasferimento della popolazione dello Stato al di fuori del suo territorio, in violazione delle norme del diritto umanitario internazionale”. Human Rights Watch e Oxfam hanno accolto con favore la sentenza. “È un passo importante nella giusta direzione per il popolo palestinese che porta il peso dell’espansione degli insediamenti. I consumatori hanno il diritto di conoscere l’origine dei prodotti che acquistano e l’impatto che questi acquisti hanno sulla vita delle persone”, ha affermato il Country Director per i territori palestinesi occupati di Oxfam Shane Stevenson. Figuriamoci in Israele. “La politica di etichettatura obbligatoria individua solo Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente – ha osservato Eugene Kontorovic, direttore del Kohelet Policy Forum – mentre non sono previste etichette “made in” per il Donbass occupato dalla Russia, o nella Siria occupata dalla Turchia”. Vero anche questo, non fosse che una scusa un po’ frusta.