‘Ho saldato il mio debito’
Alvaro Mellini e il Tennis Club Locarno: una storia lunga quasi 70 anni (e iniziata come ‘ball boy’)
A febbraio lascerà la (terza) presidenza. Frammenti di una ‘relazione’ intima, fatta di... molti diritti e qualche rovescio.
Azione, reazione. È in questo semplice meccanismo che da quasi 70 anni si gioca l’impegno di Alvaro Mellini al servizio del Tennis Club Locarno. Azione: «Anno 1952, ero giovanissimo. Papà era morto l’anno precedente, il 6 settembre, e la mamma era rimasta con sei figli da crescere. I tempi erano difficili: lavorava, ma non era sufficiente. Una conoscente un giorno le disse: «Mandi giù i ragazzi al Tennis a fare i “ball boy”». Lo fece. In pratica sono cresciuto lì, in quell’ambiente allora decisamente esclusivo (al “club house” si parlava francese), ma protetto, sano. E grazie a Dio, fra paghetta e mance, si raccoglieva qualche soldo». Reazione: «Se da allora ad oggi non mi sono più staccato dal Tennis Club, se per tre volte sono stato presidente, e se mi sono sobbarcato l’impegno del salvataggio finanziario di fine anni 90, è perché dovevo saldare un debito. Credo di averlo fatto. È il momento di dire basta».
Alvaro Mellini va per i 78 anni ma nel suo ufficetto ai campi della Morettina, se sorride, lo fa ancora con gli occhi di un bambino: quel bambino che si sorprendeva ad osservare i gran signori giocare, e che con i suoi fratelli ha contribuito a sostenere, come poteva, la famiglia in difficoltà. «Erano tempi diversi – ricorda –; tempi in cui la città era ancora pronta a mobilitarsi. Locarno lo fece per noi, una vedova e sei orfani di padre, raccogliendo generi alimentari e tutto quanto poteva aiutarci ad andare avanti». E c’era il Tennis, giù all’Isolino, una seconda casa in cui Alvaro è entrato in punta di piedi e di cui poi si è preso cura per una vita intera. Contribuendo a realizzare, trent’anni fa, i campi coperti alla Morettina: un investimento importante, i cui strascichi avrebbero potuto portare al fallimento del club: «Nell’85, con l’entrata in funzione del centro coperto, dimissionai e venni nominato presidente onorario. Ma una decina d’anni dopo mi richiamarono: a causa dei tassi d’interesse altissimi il sodalizio annaspava in oltre un milione e mezzo di franchi di debiti: bisognava far qualcosa e farlo in fretta. Prima sistemai le cose con la Federazione svizzera, che ci aveva concesso un prestito senza interessi di 350mila franchi e si prestò a rinunciare alla metà della restituzione. Poi si trattava di agire con il “pool” di banche. Parlai con i direttori locali – che conoscevo benissimo perché erano di qui, e allora ancora potevano decidere autonomamente – e poi con Dionigi Resinelli, della Società bancaria ticinese, che accettò di riprendere circa la metà del debito condonato dal “pool”. In questo modo il Tennis Club fu salvo».
‘Ma non lo abbandono’
Oggi la realtà tennistica locarnese è diversa da quella degli anni d’oro, quando i membri attivi erano il doppio di quelli attuali; ma è una realtà socialmente importante per ciò che fa con il vivaio («Solo alla scuola tennis sono iscritti un centinaio di giovanissimi») e per il suo indotto turistico. Un indotto determinato in primo luogo dal mantenimento dei campi all’Isolino dopo la bislacca idea municipale di una decina di anni fa di vendere il terreno per fare cassa. Un’idea rintuzzata con forza dai cento buoni motivi addotti da Mellini per conto del Tennis Club, e osteggiata a suo tempo anche da una petizione popolare che totalizzò circa 1’400 firme. Frammenti che illuminano una storia societaria iniziata nel 1928 e che si è sviluppata a fortune alterne in base ai cambiamenti della società. A febbraio Alvaro Mellini tornerà dunque presidente onorario e lascerà gli incarichi di diretta responsabilità. «Ma il club – si affretta a precisare – mica lo abbandono. Solo, che a reggerlo siano altri».