Rapinatore, più dentro che fuori
Dal 2007 ha collezionato pene per oltre 10 anni. Ieri nuova condanna a 2 anni e 10 mesi per il colpo in posta
Ricostruita in aula la rapina di Canobbio con pistola Softair del 13 luglio 2018 e il sequestro di una cliente. L’autore era uscito dal carcere da appena sei giorni.
«Un delinquente incallito che altro non sa fare che compiere reati». È il ritratto dell’imputato tracciato ieri dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti, nel processo svoltosi davanti ai giudici della Corte delle assise criminali di Lugano, nei confronti di un 39enne cittadino italiano, ma vissuto in prevalenza a Lugano dove è nato, salvo poi essere espulso, in aula per rispondere della rapina con sequestro di persona compiuta la mattina del 13 luglio 2018 all’ufficio postale di Canobbio. «Dal 2007 a oggi ha accumulato condanne per complessivi 10 anni» ha evidenziato il magistrato.
E ieri è giunta per il 39enne l’ennesima condanna, la 15esima della sua esistenza. La Corte, presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti, ha inflitto all’uomo 2 anni e 10 mesi di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per 20 anni, dopo che l’imputato ha ripetutamente eluso il divieto di superare il confine. L’imputato, che dopo la rapina, compiuta solo sei giorni dopo aver lasciato il carcere dove aveva scontato l’ennesima condanna per furto, era riuscito a far disperdere le proprie tracce per poi essere arrestato in Italia da dove era stato estradato, ha inoltrato richiesta – pratica assai rara – per poter scontare la pena nella vicina penisola.
Ma ecco gli elementi salienti del colpo. L’uomo, all’ufficio postale di Canobbio la mattina del 13 luglio 2018, si era presentato attorno alle 7, casco in testa e visiera abbassata, impugnando una pistola a salve Softair comprata a Luino per 100 euro (aveva gettato caricatore e munizioni e il tappo di color rosso al termine della canna) che aveva ottenuto le sembianze di un’arma vera. Durante l’azione criminale aveva pure costretto una cliente che stava lasciando la posta, sotto la minaccia dell’arma, a rientrare nell’atrio. «Temevo che potesse dileguarsi e chiamare la polizia», s’è giustificato l’imputato, che nelle ore precedenti il colpo ha detto di aver fatto uso di droga. Prima della rapina – bottino di 15mila franchi e 4mila euro – l’imputato ha sostenuto di aver consumato segnatamente cocaina ed eroina. «Per farmi coraggio» ha dichiarato.
L’arma a salve, ma come vera
La Corte – ha spiegato la presidente in serata durante la lettura del dispositivo di sentenza – ha definito di grado medio la colpa dell’autore della rapina. La procuratrice pubblica in mattinata aveva chiesto una pena di 3 anni e mezzo di carcere e l’espulsione a vita dalla Svizzera, dopo che ripetutamente il 39enne ha eluso l’ordine di non fare più ingresso in Svizzera. Il rapinatore è stato arrestato grazie alle impronte digitali rintracciate dagli inquirenti sullo scooter rubato, abbandonato dal malvivente dopo il colpo. L’autorità giudiziaria ticinese aveva emesso un ordine di cattura internazionale nei confronti dell’uomo, identificato grazie alle immagini della videosorveglianza. Ieri davanti ai giudici l’uomo ha ammesso ogni sua responsabilità e, al termine della fase dibattimentale, ha chiesto scusa alle parti lese. Alla cliente sequestrata la Corte ha riconosciuto un torto morale di mille franchi.
La difesa, rappresentata dall’avvocatessa Chiara Buzzi, si era battuta per una condanna massima di 22 mesi di detenzione, evidenziando nella sua arringa come l’uomo nella rapina, segnatamente nel sequestro della cliente, non abbia usato né violenza né spregiudicatezza.