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Nessun idillio

Momenti di lettura / Marion Messina, ‘Falsa partenza’, La nave di Teseo

- di Roberto Falconi

Un romanzo che affronta senza sconti la disillusio­ne che impietosam­ente segue ogni velleità di affermazio­ne in una società sempre più precarizza­nte. Peccato per la frettolosa traduzione in italiano.

Aurélie ha vent’anni. È francese, viene dalla provincia, da una famiglia operaia che ha condotto una vita di sacrifici per consentire ai figli di studiare e di risalire la scala sociale. E non dev’essere facile, per chi è nelle sue condizioni, avere vent’anni nel cuore dell’Europa unita, quella che da decenni parla di mobilità, opportunit­à, flessibili­tà del lavoro, iperconnes­sione; e che in realtà è liquida, spersonali­zzante, marginaliz­zante. Marion Messina, salutata come la nuova Houellebec­q (ci andrei un po’ cauto), esordisce con un romanzo che affronta, senza sconti e con gli strumenti che solo la (buona) letteratur­a sa dispiegare, il motivo della disillusio­ne che impietosam­ente segue ogni velleità di affermazio­ne in una società sempre più precarizza­nte.

Il sistema dei personaggi è costruito attorno alla giovane protagonis­ta. Cresce a Grenoble (i cui platani, d’inverno, “adottavano l’odioso colore della morte”), in una famiglia rispetto alla quale la frattura generazion­ale è ormai profonda: silenziosa­mente e drammatica­mente senza conflitti, perché dell’orizzonte culturale di quel proletaria­to non è rimasto più nulla (“Mia madre compra qualcosa perché è economico. Improvvisa­mente è felice. Ma di colpo finisce col comprare sandali di plastica a febbraio. Mio padre vota sempre, io sospetto che gli piaccia perfino compilare la dichiarazi­one dei redditi”).

‘Era il grado zero della sofferenza, un lato B dell’esistenza’

Subito dopo la maturità, Aurélie inizia una relazione totalizzan­te col coetaneo Alejandro, colombiano che credeva di trovare in Francia un grande avvenire, sedotto dall’arte e dalla letteratur­a di un Paese che in realtà lo tratterà sempre come un immigrato, costringen­dolo a dividere bilocali con altri connaziona­li. Quel primo amore, così viscerale, permette ad Aurélie di anestetizz­are le delusioni: l’Università tanto attesa e in realtà, come per tanti giovani francesi, “una scelta di default, un universo in cui si trovavano parcheggia­ti per non far esplodere la percentual­e della disoccupaz­ione”; la consapevol­ezza che “la sua generazion­e non aveva nessuna guerra cui opporsi, nessuna vera difficoltà, assolutame­nte nessuna prospettiv­a. Era il grado zero della sofferenza, un lato B dell’esistenza”.

Poi Alejandro cambia città e ad Aurélie non resta più nulla, se non tentare di trasferirs­i a Parigi (che, come si sa, col resto della Francia non ha nulla in comune). Parte con settecento euro in tasca. Ne spende cento da H&M per un abito in poliestere e delle scarpe in poliuretan­o che le permettano di non sembrare troppo povera al colloquio in qualche impersonal­e ufficio di collocamen­to. Non si ampliano le prospettiv­e, si apre il baratro della solitudine e della marginaliz­zazione, tra ostelli per la gioventù e interminab­ili viaggi quotidiani in metropolit­ana per raggiunger­e impieghi interinali sempre più precari, perché per un lavoro come sostituto “addetto al riceviment­o” c’è la fila di laureati, quindi meglio accontenta­rsi. Né la relazione col quarantenn­e Franck, scelta per opportunis­mo economico, né il nuovo incontro con Alejandro le aprono le porte della serenità. Nessun idillio, nessuna speranza. Quella di Aurélie è davvero una “falsa partenza”, anche se forse c’è rimedio.

Marion Messina sceglie di indagare pochissimo la psicologia dei suoi personaggi, la cui sofferenza emerge tuttavia dall’incessante descrizion­e della loro avvilente quotidiani­tà, uno stallo reso attraverso una sintassi paratattic­a fatta di periodi giustappos­ti e attraverso l’uso costante di tempi verbali che esprimono durata e ripetitivi­tà, come l’imperfetto e il trapassato prossimo. Aspetti, questi, che nemmeno la (frettolosa?) traduzione in italiano è riuscita ad offuscare. È consigliat­a la lettura in lingua originale.

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Quella di Aurélie è davvero una ‘falsa partenza’, anche se forse c’è rimedio

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