Usati come oggetti sessuali
Da ieri alla sbarra i coniugi accusati di aver abusato per 10 anni del figlio e della figlia minorenni
L’accusa parla di 130 episodi. La coppia è rea confessa per i reati commessi in correità, mentre il padre non riconosce la violenza carnale ai danni della ragazza.
Reso noto dal Ministero pubblico durante la scorsa estate, aveva sconvolto l’opinione pubblica cantonale. È in effetti uno dei più gravi casi emersi in Ticino negli ultimi anni quello approdato ieri mattina in aula di fronte alla Corte delle Assise criminali di Bellinzona riunite a Lugano. Alla sbarra i due coniugi italiani domiciliati nel Bellinzonese accusati di aver abusato sessualmente – nell’arco di una decina d’anni a partire dai primi atti fino agli episodi più gravi imputati al padre – dei due figli minorenni. La cifra è raccapricciante: più di 130 – viene descritto nell’atto d’accusa stilato dalla procuratrice pubblica Marisa Alfier – gli abusi che sarebbero stati commessi in correità dalla coppia, che deve così rispondere di coazione sessuale e atti sessuali con fanciulli. Un numero elevatissimo di palpeggiamenti, pratiche orali e giochi erotici (imposti ai figli sin da quando avevano 3 e 7 anni) che ieri è stato confermato dalla madre.
Il marito, pur associandosi alla donna nel riconoscere l’entità dei reati imputatigli (che coinvolgevano due, tre fino a tutti e quattro i membri della famiglia), si è invece detto in disaccordo sulla somma degli episodi ricostruita dagli inquirenti. Per lui sarebbero ‘solo’ una trentina. Ma c’è un altro aspetto, il più pesante dal punto di vista della gravità dei reati, che l’uomo – colui che ha avuto l’idea di dare inizio al calvario dei figli – non riconosce. Nel rispondere alle domande poste dal giudice Amos Pagnamenta l’imputato – così come fatto in sede d’inchiesta – ha nuovamente negato di aver obbligato la figlia a sottomettersi a un rapporto sessuale completo. E respinge dunque i capi d’imputazione di violenza carnale e incesto. Per l’accusa, sulla base della dichiarazione della giovane che nel 2016 aveva trovato la forza di denunciare i fatti e fare così scattare l’arresto e le successive indagini, le congiunzioni carnali sarebbero state dieci. Atti che sarebbero avvenuti fra il 2013 e il 2015, dopo che la moglie era stata esclusa dai rapporti, divenuti non più a tre ma unicamente tra padre e figlia. «Era diventata la mia esclusiva», ha infatti ammesso l’uomo, sostenendo che mai si è però spinto fino all’atto sessuale completo. «Era un traguardo da non raggiungere», ha detto, sostenendo che la figlia abbia mentito durante gli interrogatori.
Oggetti per l’appagamento personale
La motivazione all’origine dei reati perpetrati dalla coppia (che di comune accordo si accinge a formalizzare il divorzio) è la seguente: usare i figli come oggetti per raggiungere l’appagamento sessuale. «Si rivolgevano a noi come genitori, come punto di riferimento, e non mettevano in discussione quanto gli veniva chiesto», ha detto in aula la madre, più volte scoppiata in lacrime. In correità, i coniugi sono accusati anche di pornografia dura per avere documentato alcuni degli atti sessuali. «Filmavamo per piacere personale», ha affermato l’uomo.