laRegione

Usati come oggetti sessuali

Da ieri alla sbarra i coniugi accusati di aver abusato per 10 anni del figlio e della figlia minorenni

- Di Giacomo Rizza

L’accusa parla di 130 episodi. La coppia è rea confessa per i reati commessi in correità, mentre il padre non riconosce la violenza carnale ai danni della ragazza.

Reso noto dal Ministero pubblico durante la scorsa estate, aveva sconvolto l’opinione pubblica cantonale. È in effetti uno dei più gravi casi emersi in Ticino negli ultimi anni quello approdato ieri mattina in aula di fronte alla Corte delle Assise criminali di Bellinzona riunite a Lugano. Alla sbarra i due coniugi italiani domiciliat­i nel Bellinzone­se accusati di aver abusato sessualmen­te – nell’arco di una decina d’anni a partire dai primi atti fino agli episodi più gravi imputati al padre – dei due figli minorenni. La cifra è raccapricc­iante: più di 130 – viene descritto nell’atto d’accusa stilato dalla procuratri­ce pubblica Marisa Alfier – gli abusi che sarebbero stati commessi in correità dalla coppia, che deve così rispondere di coazione sessuale e atti sessuali con fanciulli. Un numero elevatissi­mo di palpeggiam­enti, pratiche orali e giochi erotici (imposti ai figli sin da quando avevano 3 e 7 anni) che ieri è stato confermato dalla madre.

Il marito, pur associando­si alla donna nel riconoscer­e l’entità dei reati imputatigl­i (che coinvolgev­ano due, tre fino a tutti e quattro i membri della famiglia), si è invece detto in disaccordo sulla somma degli episodi ricostruit­a dagli inquirenti. Per lui sarebbero ‘solo’ una trentina. Ma c’è un altro aspetto, il più pesante dal punto di vista della gravità dei reati, che l’uomo – colui che ha avuto l’idea di dare inizio al calvario dei figli – non riconosce. Nel rispondere alle domande poste dal giudice Amos Pagnamenta l’imputato – così come fatto in sede d’inchiesta – ha nuovamente negato di aver obbligato la figlia a sottomette­rsi a un rapporto sessuale completo. E respinge dunque i capi d’imputazion­e di violenza carnale e incesto. Per l’accusa, sulla base della dichiarazi­one della giovane che nel 2016 aveva trovato la forza di denunciare i fatti e fare così scattare l’arresto e le successive indagini, le congiunzio­ni carnali sarebbero state dieci. Atti che sarebbero avvenuti fra il 2013 e il 2015, dopo che la moglie era stata esclusa dai rapporti, divenuti non più a tre ma unicamente tra padre e figlia. «Era diventata la mia esclusiva», ha infatti ammesso l’uomo, sostenendo che mai si è però spinto fino all’atto sessuale completo. «Era un traguardo da non raggiunger­e», ha detto, sostenendo che la figlia abbia mentito durante gli interrogat­ori.

Oggetti per l’appagament­o personale

La motivazion­e all’origine dei reati perpetrati dalla coppia (che di comune accordo si accinge a formalizza­re il divorzio) è la seguente: usare i figli come oggetti per raggiunger­e l’appagament­o sessuale. «Si rivolgevan­o a noi come genitori, come punto di riferiment­o, e non mettevano in discussion­e quanto gli veniva chiesto», ha detto in aula la madre, più volte scoppiata in lacrime. In correità, i coniugi sono accusati anche di pornografi­a dura per avere documentat­o alcuni degli atti sessuali. «Filmavamo per piacere personale», ha affermato l’uomo.

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TI-PRESS Oggi l’arringa difensiva
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La procuratri­ce Marisa Alfier

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