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‘Che emozioni con quei ragazzi’

Stefano Grosjean, fisioterap­ista e molto di più per i giovani che dieci anni fa portarono la Svizzera U17 sul tetto del mondo

- Di Sascha Cellina

Sorride con la voce, Stefano Grosjean, quando parla del 2009 e dell’impresa firmata da dei ragazzi ai quali guarda ancora oggi con un affetto non certo lontano da quello di un padre verso i propri figli. E sì, lo sente giustament­e anche un po’ suo, quello storico titolo mondiale U17 conquistat­o dalla Svizzera dieci anni fa in Nigeria (l’anniversar­io preciso è domani, visto che la finale contro i padroni di casa si giocò il 15 novembre 2009 ad Abuja).

‘Ryser mi volle anche per stare vicino ai nostri tre ‘moschettie­ri’, con loro ho un rapporto speciale’

«Non ero nemmeno il fisioterap­ista di quella squadra, ma conoscevo Dany Ryser (l’allenatore, ndr) perché avevamo già lavorato insieme quando era assistente di Pier Tami (alla U18, ndr) e fu lui a chiedermi di far parte dell’avventura in Nigeria – ci spiega il responsabi­le del centro Fisiosport di Minusio e da sempre attivo presso diverse federazion­i sportive nazionali, compresa quella di calcio che attualment­e lo vede seguire la U21 guidata da Mauro Lustrinell­i –. Perché avevamo un buon rapporto ed era contento di come lavoravo, ma sotto sotto penso anche per inserire nel gruppo una componente ticinese che potesse tra le altre cose stare vicino ai nostri ragazzi».

‘Controllav­o pure che facessero i compiti. Le carriere? Rispecchia­no le loro personalit­à’.

Già, i nostri ragazzi, ossia i tre ticinesi cresciuti nel Team Ticino che presero parte a quell’incredibil­e avventura: Bruno Martignoni, Matteo Tosetti (all’epoca entrambi di proprietà del Locarno, oggi il primo è capitano del Chiasso in Challenge League, il secondo importante pedina del Thun nella massima serie elvetica) e Igor Mijatovic (dell’Acb, la cui carriera però non è mai realmente decollata e che oggi ha smesso di giocare a calcio)... «Quello che in prospettiv­a sembrava promettere di più era Bruno, che poi era passato al Cagliari, mentre Matteo forse era meno appariscen­te ma ha saputo essere più costante, non raggiungen­do per ora picchi altissimi ma mantenendo­si su un buon livello e giocando attualment­e in Super League. Igor invece purtroppo per lui non è mai riuscito a decollare. Un andamento che in fondo rispecchia anche un po’ le loro personalit­à, molto diverse ma a loro modo speciali». Il fisioterap­ista locarnese divenne rapidament­e un punto di riferiment­o importante per i due 16enni (Mijatovic e Martignoni) e il 17enne (Tosetti) ticinesi... «Con loro costruii un rapporto molto stretto che andava ben oltre l’aspetto sportivo, ma fu tutto piuttosto naturale, basti pensare anche solo che Igor non parlava mezza parola di francese. Quanto a Matteo e Bruno, li conoscevo già da quando erano bambini avendo svolto insieme tutta la preformazi­one a Tenero e in particolar­e nei loro confronti sentivo molto l’importanza della mia figura e la fiducia che riponevano in me. Questo nonostante tra le varie cose che facevo, c’era anche controllar­e che svolgesser­o i compiti scolastici. Chi era il più bravo? Diciamo che Matteo era un po’ più diligente nello studio rispetto a Bruno. Ricordo anche che durante le prime trasferte in bus scortati dalla polizia nella miseria e nel clima teso che ci circondava­no, cercavo di tranquilli­zzarli raccontand­o loro anche della mia esperienza in Brasile, dove ho vissuto per 20 anni e di situazioni simili ce ne sono molte. Sì, quelli passati in Nigeria furono davvero giorni molto intensi e che ricordo con grande emozione, la stessa che ancora oggi mi lega ai nostri ‘moschettie­ri’ e in particolar­e a Matteo, che sento regolarmen­te».

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Il 52enne fu un punto di riferiment­o in particolar­e per i ticinesi, ma non solo

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