Dalla doccia a bocca chiusa ai ferri da stiro condivisi
Se l’avventura rossocrociata nel 2009 in Nigeria si rivelò un successo, una parte di merito va anche a chi tale spedizione la organizzò nei minimi dettagli, per permettere ai giocatori elvetici di sentirsi ed esprimersi al meglio in un contesto non proprio accogliente.
«Già a Malta ero rimasto colpito da tutto quello che era la preparazione per un evento del genere e dal livello altissimo dell’organizzazione, sia sportiva sia logistica. E vi assicuro che non era certo una passeggiata, organizzare nel migliore dei modi la trasferta in un Paese come la Nigeria, oltretutto in quel periodo caratterizzato da una marcata instabilità politica oltre che da conflitti interni. Ricordo che assieme al segretario della Federazione svizzera di calcio e al responsabile della sicurezza ci recammo due giorni prima dell’arrivo della squadra nella città di Lagos, per accertarci che fosse tutto a posto. Dal punto di vista appunto logistico, ma anche medico-sanitario, perché bisognava ad esempio pensare alla prevenzione della malaria, e bisognava far bollire sempre l’acqua prima di usarla anche solo per lavarsi i denti, fare la doccia con la bocca chiusa e in generale adattarsi agli standard del luogo non certo elevatissimi, oltretutto in strutture da condividere con altre squadre, nel caso della fase a gironi con le selezioni di
Brasile e Giappone. Per dirne una, ricordo che c’erano pochi ferri da stiro e che ce li passavamo per fissare il logo dei Mondiali alle magliette utilizzate dai ragazzi».
Già, i ragazzi, al centro di tutto c’erano evidentemente loro... «Esatto, tutto era in funzione di loro, della loro sicurezza in primis ma anche della loro tranquillità, dovevano poter pensare solo a dare il meglio in campo e non era così scontato. Come detto la situazione nel Paese era tutt’altro che tranquilla, tanto che nei giorni precedenti all’arrivo della squadra in città c’era stata una sparatoria, ma noi ricevemmo indicazioni precise su cosa dire e cosa non dire ai ragazzi. Il nostro compito era appunto anche quello di farli rimanere tranquilli e raccontare loro determinati episodi, oltre a ciò che già vedevano con i loro occhi, sarebbe stato controproducente».