laRegione

Crisi e voglia di democrazia

- Di Aldo Sofia

Dunque, la democrazia liberale non gode di buona salute. Lo sostengono in molti, con sempre maggiore insistenza. E i motivi per pensarlo, e preoccupar­sene, non sono pochi. Il declino dei partiti e delle rappresent­ante sociali, la generale radicalizz­azione e personaliz­zazione del confronto politico, una mondializz­azione non governata che ha aiutato più le economie del mondo extra-occidental­e penalizzan­do le classi medie e operaie delle nostre società, un capitalism­o rapace e lasciato alle libere e avide mani della grande finanza, la crescita inarrestab­ile delle disuguagli­anze sociali, la più grave e prolungata crisi economica dai lontani anni della Grande Depression­e, è questo il grumo dei problemi (in un elenco senz’altro parziale) contro cui sembra infrangers­i, dopo la caduta del Muro, la profezia di Francis Fukushima sulla ‘fine della storia’: e cioè la democrazia liberale come “unica e definitiva forma di governo delle società umane avanzate”. Trent’anni dopo quel pronostico va definitiva­mente archiviato? In realtà la controvers­ia non è affatto archiviata. Naturalmen­te se ci si intende sul fatto che la democrazia compiuta (quella che Lincoln riassumeva nella idilliaca formula del “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”) è stata ovunque e sempre pura chimera. E che, anche o forse proprio a causa di questa sua incompiute­zza, ha subito molti attacchi, ha dovuto arretrare, addirittur­a soccombere. Quando è successo, soprattutt­o là dove il concetto di popolo è stato surrettizi­amente sostituito da quello di nazione (come ricorda Yves Mény nel saggio dedicato al “Malinteso democratic­o”), sono stati disastri, come ben sa l’Europa, il cui declino e la cui sudditanza nei confronti delle potenze emergenti si sono consumate in due guerre mondiali. Una lezione di fronte a cui gli odierni nazional-populismi fanno spallucce. Ma c’è di più nell’odierna difficoltà delle democrazie occidental­i. C’è la mancata difesa delle stesse democrazie da parte delle forze politiche che, nella destra e nella sinistra liberali, avrebbero dovuto rappresent­are il loro baluardo naturale. Un baluardo edificato a destra su un capitalism­o decisament­e meno ingordo e socialment­e insensibil­e, a sinistra su una rappresent­anza autentica, attiva e comparteci­pata dei diritti sociali dei più deboli (quelli che, per rapporto alle miserie dei flussi migratori, oggi vengono chiamati “i penultimi”). La storia, per tornare a Fukushima, non poteva certo finire in questa tenaglia di insensibil­ità, inadempien­za e libertà sempre più compresse. E lo confermano le rivolte popolari che di nuovo stanno scuotendo molte piazze del mondo, dall’Asia al Medio Oriente all’America Latina. Certo, alimentate da carburante e realtà nazionali differenzi­ate, anche molto diverse. Ma in realtà tutte finalizzat­e all’otteniment­o di diritti troppo a lungo negati, di maggiore equità, di più solide garanzie sociali, di giuste attese troppo spesso omesse. Insomma, tutto quello che i sovranismi identifica­no nelle pessime gestioni di élites, establishm­ent, sistema (a cui facilmente si sostituisc­ono), e che spesso sono pessima, deprecabil­e e inaccettab­ile politica, come gridano i manifestan­ti del Cile con le sue ricette neoliberis­te, di Hong Kong che disperatam­ente vorrebbe sottrarsi alla dittatura di Pechino, di Amman, Beirut, Algeri, Iran che vogliono sottrarsi anche a regimi confession­ali. Oppure di Praga dove in trecentomi­la hanno manifestat­o con bandiere europee e contro le involuzion­i illiberali dei Paesi di Visegrad. E cos’è questa, se non voglia e ricerca di democrazia?

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland