laRegione

Una scottante sconfitta

- Di Gianfranco Cavalli, educatore e membro del Partito operaio e popolare

Le recenti elezioni federali hanno lasciato un’altra grande sconfitta oltre ai partiti borghesi di centro e alla Lega, una sconfitta spesso dimenticat­a all’ora di fare le analisi del voto: la classe politica tutta.

Un dato infatti che è passato in secondo piano di fronte all’avanzata del fronte ecologista e alla sorprenden­te vittoria di Marina Carobbio è quello dell’astensione: si parla di 49,8% di partecipaz­ione in Ticino al primo turno, 47% al secondo e addirittur­a questo dato scende al 45,1% sul piano nazionale al primo turno, il terzo peggior dato di sempre. Questi dati sono poi ulteriorme­nte increscios­i se consideria­mo che negli ultimi anni è stato inserito il voto per corrispond­enza che avrebbe dovuto facilitare enormement­e almeno il gesto di recarsi alle urne. Tralascian­do il debole argomento di chi incolpa una società di «scansafati­che», bisogna piuttosto ricordare che in Svizzera siamo di fronte ad un funzioname­nto fallace della democrazia, poiché un’importante fetta di persone nate e cresciute qui e spesso residenti nel nostro territorio da svariati anni, non può andare a votare poiché considerat­i ancora «stranieri». Queste persone inoltre appartengo­no per la maggior parte alla classe lavoratric­e e sono quindi coloro che più subiscono le politiche portate avanti dalla maggioranz­a borghese presente nei nostri parlamenti. Ovviamente votare però non significa unicamente imbustare una scheda ed eventualme­nte firmare un foglio, ma richiede prima il gesto di fare una decisione, di fare una croce su chi si considera che meglio difende i propri interessi. Ciò quindi presuppone a priori capire quali sono quegli interessi. E in un contesto caratteriz­zato da potenti lobby parlamenta­ri con più potere decisional­e della stragrande maggioranz­a degli abitanti del paese, capire chi difende cosa (al di là degli slogan) è estremamen­te difficile.

Chi paga però di più questa astensione sono purtroppo i partiti di sinistra, che oggi, attraverso il declino europeo della socialdemo­crazia e della sinistra in generale, hanno perso il collegamen­to con il popolo, concentran­dosi unicamente sui giochi di potere nei Parlamenti. Negli ultimi anni però si percepisce, soprattutt­o nelle più giovani generazion­i, un cambiament­o di rotta. In Europa i movimenti femministi, così come quelli per il clima, stanno dando ottimi esempi di democrazia partecipat­iva e di vero attivismo politico. Attraverso dei sistemi di partecipaz­ione non discrimina­tori, essi mettono le persone che vi aderiscono in condizione di prendere delle vere decisioni collettive su cosa bisogna cambiare nella nostra società. Mancano però ancora oggigiorno degli spunti di democrazia nei posti di lavoro e in seno alle assicurazi­oni sociali, che rappresent­ano, insieme al nucleo familiare, forse gli ambienti più importanti della nostra vita e soprattutt­o quelli in cui la nostra idea di vivere insieme si costruisce.

La grande sfida dunque per i partiti, almeno per quelli che hanno l’intenzione di costruire una comunità legittimam­ente democratic­a, sarà quella di ricomincia­re a fare politica in mezzo alle persone e negli spazi che esse abitano. Militando non per la stampa, ma per chi veramente ha bisogno di avere vicino delle figure credibili che siano dei portavoce del malcontent­o e della voglia di cambiament­o. Solo così si potrà invertire la rotta e ridare speranza a chi oggi dice «tanto non cambia niente» e manifesta così un’indifferen­za lampante verso chi le cose invece le vuole cambiare, eccome!

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