Una scottante sconfitta
Le recenti elezioni federali hanno lasciato un’altra grande sconfitta oltre ai partiti borghesi di centro e alla Lega, una sconfitta spesso dimenticata all’ora di fare le analisi del voto: la classe politica tutta.
Un dato infatti che è passato in secondo piano di fronte all’avanzata del fronte ecologista e alla sorprendente vittoria di Marina Carobbio è quello dell’astensione: si parla di 49,8% di partecipazione in Ticino al primo turno, 47% al secondo e addirittura questo dato scende al 45,1% sul piano nazionale al primo turno, il terzo peggior dato di sempre. Questi dati sono poi ulteriormente incresciosi se consideriamo che negli ultimi anni è stato inserito il voto per corrispondenza che avrebbe dovuto facilitare enormemente almeno il gesto di recarsi alle urne. Tralasciando il debole argomento di chi incolpa una società di «scansafatiche», bisogna piuttosto ricordare che in Svizzera siamo di fronte ad un funzionamento fallace della democrazia, poiché un’importante fetta di persone nate e cresciute qui e spesso residenti nel nostro territorio da svariati anni, non può andare a votare poiché considerati ancora «stranieri». Queste persone inoltre appartengono per la maggior parte alla classe lavoratrice e sono quindi coloro che più subiscono le politiche portate avanti dalla maggioranza borghese presente nei nostri parlamenti. Ovviamente votare però non significa unicamente imbustare una scheda ed eventualmente firmare un foglio, ma richiede prima il gesto di fare una decisione, di fare una croce su chi si considera che meglio difende i propri interessi. Ciò quindi presuppone a priori capire quali sono quegli interessi. E in un contesto caratterizzato da potenti lobby parlamentari con più potere decisionale della stragrande maggioranza degli abitanti del paese, capire chi difende cosa (al di là degli slogan) è estremamente difficile.
Chi paga però di più questa astensione sono purtroppo i partiti di sinistra, che oggi, attraverso il declino europeo della socialdemocrazia e della sinistra in generale, hanno perso il collegamento con il popolo, concentrandosi unicamente sui giochi di potere nei Parlamenti. Negli ultimi anni però si percepisce, soprattutto nelle più giovani generazioni, un cambiamento di rotta. In Europa i movimenti femministi, così come quelli per il clima, stanno dando ottimi esempi di democrazia partecipativa e di vero attivismo politico. Attraverso dei sistemi di partecipazione non discriminatori, essi mettono le persone che vi aderiscono in condizione di prendere delle vere decisioni collettive su cosa bisogna cambiare nella nostra società. Mancano però ancora oggigiorno degli spunti di democrazia nei posti di lavoro e in seno alle assicurazioni sociali, che rappresentano, insieme al nucleo familiare, forse gli ambienti più importanti della nostra vita e soprattutto quelli in cui la nostra idea di vivere insieme si costruisce.
La grande sfida dunque per i partiti, almeno per quelli che hanno l’intenzione di costruire una comunità legittimamente democratica, sarà quella di ricominciare a fare politica in mezzo alle persone e negli spazi che esse abitano. Militando non per la stampa, ma per chi veramente ha bisogno di avere vicino delle figure credibili che siano dei portavoce del malcontento e della voglia di cambiamento. Solo così si potrà invertire la rotta e ridare speranza a chi oggi dice «tanto non cambia niente» e manifesta così un’indifferenza lampante verso chi le cose invece le vuole cambiare, eccome!