laRegione

Buste tardive e diritti violati

- Di Generoso Chiaradonn­a

Ora che il verbale di accertamen­to dei risultati del ballottagg­io per il Consiglio degli Stati è stato pubblicato sul Foglio ufficiale, si apre la possibilit­à di un ricorso contro tale esito che – lo ricordiamo – ha visto Marina Carobbio prevalere su Filippo Lombardi per soli 46 voti. Non ci vuole né molto acume politico, né troppa cultura giuridica per immaginare che l’istanza presentata praticamen­te all’indomani del fine settimana elettorale – e accolta dal Consiglio di Stato – è un atto preliminar­e a una via giudiziari­a. In sostanza l’istante Gianluca Padlina, presidente dell’Ordine degli avvocati del Cantone Ticino e ‘casualment­e’ consiglier­e comunale Ppd a Mendrisio, ha chiesto e ottenuto che i Comuni non distrugges­sero le buste elettorali giunte dall’estero dopo la chiusura delle urne, ma con timbro postale antecedent­e.

Siamo in uno Stato di diritto ed è quindi perfettame­nte lecito che eventuali torti, anche elettorali, vengano corretti davanti a un giudice. Il tema sollevato da Padlina è però per certi versi capzioso: la violazione del principio costituzio­nale del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero. O meglio l’impediment­o di questo esercizio dovuto a ritardi postali nella consegna del materiale di voto. Per carità, è nella natura della profession­e forense sollevare dubbi. Un bravo avvocato deve fare gli interessi del suo cliente. Solo che nel caso concreto del presidente dell’Ordine degli avvocati non si capisce bene chi sia il cliente: l’interesse generale di tutti gli elettori o quello particolar­e di un esponente di peso del suo partito uscito sconfitto – anche se di misura – dalle elezioni? Fatto sta che il tema sollevato è noto e serio. Votare per corrispond­enza comporta dei rischi, sempre. Si voti in patria o dall’estero. La segretezza del voto non è garantita e nemmeno si può accertare che le schede affidate ai servizi postali nazionali o stranieri arrivino per tempo a destinazio­ne, sia essa l’urna elettorale o il recapito dell’elettore. Insomma, servono sicurament­e dei correttivi per migliorare la possibilit­à di espression­e del voto di chi non può recarsi fisicament­e al seggio. Si è parlato a più riprese del voto elettronic­o a distanza e test in tal senso sono stati effettuati in altri Cantoni, ma anche in questo caso non si è riusciti a fugare i dubbi insiti in una possibile violazione delle reti informatic­he. Hacker interessat­i sono sempre dietro l’angolo e l’ultimo esperiment­o fallito della Posta svizzera lo dimostra: la sicurezza al 100% non esiste. Inoltre, altro aspetto da tenere in consideraz­ione, non sono soltanto i ticinesi residenti all’estero le potenziali vittime di un’erosione di diritti e non solo per l’ultimo ballottagg­io. Dall’estero si vota anche per iniziative, referendum ed elezioni cantonali. In altri Cantoni, infine, il secondo turno si è tenuto a distanza di soli quindici giorni dal primo. Un lasso di tempo giudicato quindi congruo dalle autorità locali per i loro cittadini residenti all’estero aventi diritto di voto. Se la tesi dell’avvocato Padlina dovesse essere accettata da un tribunale, sarebbe l’istituto stesso del voto per corrispond­enza a essere messo in discussion­e, a maggior ragione quando a decidere l’esito di una contesa elettorale è soltanto una manciata di schede.

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