Il clima in sala con Silvio Soldini
Un nonno, un nipote e un albero: perché, ci spiega il regista, la forza del cinema è raccontare il riscaldamento globale partendo da storie personali, per lasciare qualcosa nel cuore delle persone
Il regista italiano a Castellinaria per incontrare i giovani e presentare il suo cortometraggio sul riscaldamento globale, parte di ‘Interdependence’. “Ho cercato di mettere il mio mattoncino”.
È gentile come i suoi film, Silvio Soldini: come ‘Pane e tulipani’ con Bruno Ganz, come ‘Il colore nascosto delle cose’. O come il cortometraggio ‘Olmo’ – parte del progetto ‘Interdependence’ – che è venuto a presentare a Castellinaria, partecipando pazientemente alla lunga tavola rotonda sul clima organizzata dal festival, ascoltando esperti e giovani, nonostante dovesse tornare presto a Milano. In una pausa, siamo riusciti a fargli qualche domanda, iniziando ovviamente dal cortometraggio che, insieme ad altri dieci, compone questo film collettivo ideato da Adelina von Fürstenberg dell’Ong Art for the World, anch’essa presente all’incontro. «In otto minuti non si può dire tutto, e neanche la metà o un quarto: ma puoi cercare di lasciare qualcosa negli occhi e nel cuore degli spettatori» spiega Soldini. «Ho cercato di mettere il mio mattoncino» nella grande casa della lotta al riscaldamento globale.
Che cosa può fare il cinema per raccontare l’emergenza climatica, argomento oggi d’attualità ma a lungo trascurato?
Ma non solo nel cinema: anche in letteratura, e un po’ dappertutto, se ne parla poco. Del resto sono tanti i problemi che ci circondano, tanti i temi che si possono affrontare. E il tema dell’ambiente non è semplice, da affrontare: anche in questo film che abbiamo realizzato, ognuno l’ha affrontato a modo suo, dal suo punto di vista, dal suo luogo geografico. Ma ci sarebbe tanto altro da dire, tanti altri modi di affrontare il problema. Pensiamo alla plastica, che forse è l’aspetto più appariscente di questo degrado ambientale provocato dall’uomo. Tutto è connesso.
Ma il cinema che cosa può fare di più, o di diverso, rispetto a quello che già fanno scuola, famiglia, movimenti… Difficile dirlo. Credo che il cinema non debba solo informare, ma che il suo scopo sia raccontare storie: ci possono essere documentari apocalittici sul riscaldamento globale, sulle catastrofi cui potremmo andare incontro, ma penso che oltre ai dati nella mente delle persona si debba anche lasciare qualcosa nel cuore. Credo che il cinema possa fare questo – che è quello che ho cercato di fare io nel mio cortometraggio di otto minuti nel quale certo ci sono delle informazioni, ma c’è anche la poesia.
Si parla molto, e giustamente, di giovani, ma nel suo cortometraggio tutto parte dal dialogo di un nonno con il nipote.
Inevitabilmente in una storia non c’è un solo tema e di questo racconto che mi è venuto in mente mi piaceva molto questo aspetto delle tre generazioni – con il nonno, la figlia che è anche madre, e il nipote – e questo passaggio di affetto e di informazione tra la generazione dei vecchi e la generazione dei più piccoli. Mi pare che sia un passaggio diventato sempre più difficoltoso, rispetto a come era anni fa, quando il nonno rappresentava la saggezza, era il saggio che nella sua vita aveva accumulato una conoscenza che doveva passare.
Tra l’altro anche altri registi di ‘Interdependence’ hanno affrontato il riscaldamento globale partendo da storie personali.
Assolutamente: credo sia la cosa bella del cinema, affrontare i grandi temi partendo dal quotidiano. È quello che ho cercato di fare e – credo – quello che mi è stato chiesto. La mia storia doveva essere ambientata a Milano, una delle città più inquinate d’Europa, e occuparsi soprattutto dell’aria. Ho iniziato a documentarmi, a cercare informazioni: per questo sono arrivato a parlare di alberi. Poi nelle riflessioni che ho fatto è venuto fuori anche questo tema intergenerazionale che ha un po’ messo tutto insieme.
Il film, opera collettiva di undici registi ognuno con un suo stile e un suo tema, ha comunque una certa unità. Non c’è stato alcun tipo di rapporto, di contatto tra noi registi. Adelina von Fürstenberg ha tenuto i contatti con tutti noi e ci ha indirizzati verso quelle riflessioni che ognuno di noi ha fatto soggettivamente.
Il film ha una sua unità se lo si considera come un patchwork: ognuno ha portato il suo pezzettino in questo grande arazzo fatto di tanti colori, di tante figure diverse. Ognuno è intervenuto a suo modo ed è questo il bello del film: si viaggia attraverso il mondo.