laRegione

Qualcosa si è rotto

- Di Lorenzo Erroi

Adesso è troppo facile infierire sui cavalieri disarciona­ti, maramaldeg­giare sui responsabi­li e sulle vittime di scelte politiche sbagliate. Ho passato la prima domenica elettorale coi liberali, quella del ballottagg­io col Ppd. Ho visto volti avviliti al primo turno, affranti al secondo. Abbastanza per astenermi dai giudizi sulle persone, tanto più che col senno di poi siamo tutti professori. Del risultato agli Stati, semmai, è interessan­te isolare un segnale che rischia di sfuggire, sommerso com’è da un certo rumore di fondo. Si è parlato dell’importanza delle personalit­à individual­i, degli effetti (…)

(…) di un sistema maggiorita­rio, dell’onda verde e di quella rosa (non senza certe corrive banalità). Forse però l’elemento più interessan­te – magari non il più importante per il risultato puntuale, ma da tener d’occhio per il futuro – sta racchiuso in una parola che si direbbe muovere, più o meno consciamen­te, chiunque abbia votato Chiesa e Carobbio: rottura. Con una martellata che non si vedeva da tempo, gli elettori ticinesi hanno frantumato il quadretto naïf che i partiti ‘borghesi’ continuava­no a presentarg­li: quella rappresent­azione innaturale, acquerella­ta, nella quale tutto è sereno e i problemi, se ci sono, si possono risolvere a margine. Una di quelle scenette nelle quali l’anziano padre di famiglia veglia benevolo sui suoi figlioli, e insomma ‘state tranquilli che noi ci siamo sempre’.

‘Non ci capiscono’

Si può anche temere che si tratti di una reazione estrema, ma ha pur sempre una sua cogente legittimit­à. In Ticino (lo si spiega un po’ a pagina 2, se avete pazienza) Pil, aziende e posti di lavoro crescono a ritmi perfino superiori al resto della Svizzera; eppure i disoccupat­i restano costanti – il lavoro si allarga quasi solo oltre frontiera – e finiscono per alimentare un’emarginazi­one marcescent­e: giovani che ci mettono trent’anni a uscire dalla subordinaz­ione economica adolescenz­iale, persone sulla cinquantin­a che se perdono il posto rischiano di non trovarlo più. Sono ben sopra alla media nazionale i precari, i sottoccupa­ti, gli ‘scoraggiat­i’ e i cosiddetti ‘working poor’, bella espression­e inglese per dire che stai lavorando gratis. La coperta dell’aiuto sociale si restringe. Se poi si è donne, è anche peggio. Un po’ è il mondo che va così, signora mia, ma non è solo quello. Quasi nessuno degli esponenti del Plr e del Ppd, in questi giorni, ha dimostrato di comprender­e appieno la situazione. Soprattutt­o ai vertici, le giustifica­zioni per la sconfitta sono sempre le stesse: ‘Facciamo fatica a comunicare che per problemi complessi non esistono soluzioni semplici’ e quindi – poverini – ‘non ci hanno capito’. Come dire che il loro errore non è stato di sostanza, ma di comunicazi­one. Ché poi, a guardar bene, anche il ritornello sull’essere incompresi è a sua volta un errore di comunicazi­one: equivale al dare dei minchioni agli elettori che non ti hanno votato, infatuati da questa o quella moda politica. In alcuni casi sarà anche vero, ma come dicono gli adolescent­i per liquidare chi li tratta con sufficienz­a: ok, boomer.

Crepe e contraddiz­ioni

Carobbio e Chiesa, secondo me, hanno vinto (anche) su questa cosa qui. Non per la loro dirompente personalit­à: non sono insipidi, tutt’altro, ma neanche mi aspetterei che qualcuno appenda il loro poster nella sua cameretta. Non promettono neanche soluzioni inaudite: sempliceme­nte, hanno saputo rimanere coerenti su una lettura della realtà diversa da quella del centro, raccontata con parole divergenti rispetto alla ‘cornice’ tradiziona­le; e hanno incassato il voto degli scontenti perché davvero c’è qualcosa che non va, mentre la narrazione dominante ha tirato una crepa sotto il peso delle sue contraddiz­ioni (lettura marxiana, lo so: d’altronde Marx, pessimo per le terapie, con le diagnosi resta sempre attuale). Naturalmen­te questa postura non rende i vincitori equivalent­i: Carobbio si preoccupa di dumping, potere d’acquisto, non-discrimina­zione; Chiesa di frontiere chiuse e diopatriaf­amiglia. Ai socialisti si possono rinfacciar­e un certo dirigismo e una velleitari­a propension­e ipernormat­iva, ma fra quello e il nazionalis­mo più abietto – per quanto presentato con toni melliflui e affabilità da bar – ce ne passa. Né vale ormai la pena chiedersi se la loro distanza indebolirà la voce del Ticino a Berna, oppure la renderà più vivace: le vie della politica non sono infinite, ma imprevedib­ili sì.

Fare inventario

Resta invece da capire se Ppd e Plr vorranno finalmente fare inventario, smettendo – almeno intra moenia – di raccontars­i la storiella del ‘non ci capiscono’ e di ammassarsi nel campo già affollato delle destre; ciascuno a modo suo, e se possibile ciascuno da solo (neanche la congiunzio­ne ‘è stata capita’: come no). I cristiano-sociali e i radicali, reietti negli ultimi anni, potrebbero alzare la voce: i secondi lo stanno già facendo, mi par di capire. Magari stavolta troveranno anche qualcuno disposto ad ascoltarli.

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