A Tripoli si spara, in mare si muore
Roma – Sarebbero non meno di ottocento i migranti che hanno preso il mare nelle ultime 48 ore, per tentare la traversata dal Nord Africa alle coste italiane. Tanti ne stima l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), sulla base dei rapporti in arrivo dalla sua missione in Libia, dove la ripresa delle ostilità ha indotto i migranti, e ancor più i passatori, a rimettere in acqua le barche.
Ancora ieri, un’imbarcazione con 74 persone a bordo è arrivata a Lampedusa; mentre sei cadaveri sono stati rinvenuti sulle spiagge di Khums, in Libia, e tre giorni fa alcuni pescatori hanno salvato trenta migranti a bordo di un gommone, compagni di traversata di altre settanta che sarebbero invece annegate.
“L’apparente aumento delle partenze dalla Libia si registra in un momento in cui Tripoli e le aree circostanti sono colpite da una pesante serie di bombardamenti, probabilmente i più duri dall’inizio del conflitto in aprile”, ha informato l’Oim in una nota. A dimostrazione, ha osservato Federico Soda, capo missione a Tripoli, che “la Libia non è un porto sicuro; è necessario attivare un meccanismo di sbarco sicuro e strutturato per i migranti che fuggono dalla violenza e dagli abusi”.
Tra martedì 29 ottobre e giovedì 21 novembre, gli operatori delle navi delle Ong Ocean Viking e Open Arms hanno riferito di aver salvato 287 migranti. Allo stesso tempo l’Oim Libia ha confermato che la Guardia costiera libica ha riportato a terra altre 289 persone, tra cui 14 bambini e 33 donne. I migranti sono stati trasferiti in un centro di detenzione. Ed è ormai facile immaginare che cosa li aspetta. Dall’inizio dell’anno, più di 8’600 migranti che hanno tentato la traversata del Mediterraneo sono stati riportati in Libia in centri di detenzione sovraffollati, dei quali le Nazioni Unite hanno documentato le condizioni inaccettabili, le violazioni dei diritti umani e le sparizioni.
Il solo contento può dunque essere Matteo Salvini, dopo che, ieri, la Procura di Roma ha disposto l’archiviazione dell’inchiesta a suo carico per il rifiuto opposto nell’aprile scorso alla richiesta di approdo in un porto italiano dell’Alan Kurdi, che aveva a bordo 64 migranti soccorsi in mare. Per un reato analogo lo stesso Salvini è oggetto di una inchiesta della procura di Agrigento.