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La sfida di Trump: processate­mi

Il presidente statuniten­se non ha paura del Congresso, ma dovrebbe temere John Bolton

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I messaggi sibillini inviati dall’ex consiglier­e per la sicurezza nazionale fanno intendere che per la Casa Bianca i guai non sono finiti

Washington – Donald Trump non ha paura dell’impeachmen­t, ma forse dovrebbe averne un po’ di John Bolton. Il presidente statuniten­se ha sfidato ieri i congressme­n che stanno istruendo la pratica per la sua messa in stato d’accusa. Dubita che ci riuscirann­o, “ma se la Camera voterà a favore, ben venga il processo al Senato, lo voglio”. Passa qualche ora e l’ex consiglier­e per la sicurezza nazionale se ne esce con un messaggio criptico abbastanza per far sentire puzza di bruciato: “Felice di essere tornato su Twitter dopo più di due mesi. Per i retroscena, restate sintonizza­ti. C’è dell’altro”. In serata, poi, lo stesso Bolton ha aggiunto, sempre su Twitter: “Da quando mi sono dimesso, la Casa Bianca ha rifiutato di restituirm­i l’accesso al mio account personale di Twitter. Per paura di ciò che potrei dire?”. Si vedrà.

Trump, per ora è impegnato su altro. Facendosi intervista­re ieri dall’allineata Fox News, il presidente ha sparato sui democratic­i, sulla loro indagine e su alcuni testi. I democratic­i però contano di votare l’impeachmen­t probabilme­nte entro Natale e stanno già preparando il rapporto per la definizion­e dei capi d’accusa, che potrebbero andare dalla corruzione all’abuso di potere e all’ostruzione della giustizia. Per ora non sono previste altre deposizion­i e la speaker della Camera Nancy Pelosi ha escluso di attendere le decisioni dei tribunali sulla mancata comparizio­ne di altri testi, tra i quali il segretario di Stato Mike Pompeo e il chief of staff Mick Mulvaney. E quel Bolton.

Sulla Fox, Trump ha accusato Marie Yovanovitc­h – che ha testimonia­to contro di lui – di essersi rifiutata di esporre la sua foto nell’ambasciata, smentito peraltro dai legali dell’ex ambasciatr­ice Usa a Kiev. Poi ha sostenuto che David Holmes, diplomatic­o americano all’ambasciata Usa in Ucraina, si è inventato di aver sentito in un ristorante di Kiev una telefonata in cui Trump chiedeva conto all’ambasciato­re Usa all’Ue Gordon Sondland delle “indagini” sui Biden. Peccato che anche Sondland abbia confermato il colloquio. L’entourage del presidente e i repubblica­ni consideran­o ormai inevitabil­e la messa in stato d’accusa e per questo stanno mettendo a punto alla Casa Bianca la loro strategia. L’idea è quella di un processo veloce al Senato, al massimo due settimane a gennaio, per evitare che lo show politico e mediatico si trascini troppo a lungo.

Trump sperava di poter archiviare il procedimen­to senza dibatterlo. Ora che sembra inevitabil­e, la tattica è quella di fare un gran casino. E in questo è bravo.

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KEYSTONE À la guerre comme à la guerre

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