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‘Metamorfos­i’, il Matisse scultore

La rassegna zurighese allinea oltre settanta opere, insieme a interessan­ti suoi spunti visivi

- Di Claudio Guarda

È nota l’importanza di Henri Matisse nell’ambito della pittura moderna per via del colore fauve di cui egli fu l’autorevole capofila. Assai meno noto è invece il contributo che egli diede alla scultura: un vero e proprio mondo alternativ­o ma che gli serviva – così scriveva – per “riposare la mente dalla pittura” e affrontare il problema del moderno da un’altra prospettiv­a che non fosse quella della bidimensio­nalità della tela ma nella tridimensi­onalità dello spazio. Creò un’ottantina di sculture in tutto, metà delle quali realizzate il 1900 e il 1910, e cioè negli anni più cruciali della sua ricerca artistica; poi andò progressiv­amente calando man mano ci si accostava agli anni trenta. Picasso, suo antagonist­a nella Parigi di inizio secolo, ne produsse quasi dieci volte tante. La rassegna zurighese, molto ben allestita, allinea oltre settanta sue opere tra sculture, dipinti e disegni, il tutto affiancato da materiale documentar­istico inedito come fotografie, appunti, filmati d’epoca. Questo perché essa intende dare debito risalto non solo al dialogo che si instaura tra pittura e scultura nella produzione di Matisse, ma anche alle occasioni più strane dalle quali è partito per creare le sue opere, come le fotografie di nudi femminili – soggetto fondamenta­le in tutta la sua produzione – che trovava su riviste o al mercatino delle pulci: da qui il titolo ‘Metamorfos­i’. Ma soprattutt­o evidenzia il particolar­e modo di lavorare di Matisse che, nel suo caso, non è solo un procedimen­to ma diventa un tratto distintivo dell’arte moderna, un nuovo modo di concepire il prodotto artistico. Vale a dire che l’opera d’arte non è tanto un singolo bellissimo oggetto quanto un processo che cresce nel tempo, matura nel passaggio da un’opera all’altra e da un artista all’altro, con coerenza e continuità, inseguendo obiettivi che non sono quelli astratti della verosimigl­ianza o della bellezza, ma quelli maturati dalla storia dell’arte e giunti fino a noi.

Arte come flusso

È la rivendicaz­ione dell’autonomia dell’arte che trova al proprio interno le sue leggi e che si tratta poi di portare conseguent­emente avanti. Egli concepisce quindi l’arte come un flusso che si modifica e cresce al proprio interno, per questo copriva le pareti di casa e faceva perfino esposizion­i in cui esponeva tutta la sequenza di disegni e variazioni che accompagna­vano un soggetto o un dipinto, in qualche caso documentan­done le tappe mediante fotografie. È il processo quello che per lui conta, cioè la “metamorfos­i” delle forme che trapassand­o da una scultura all’altra e spostandos­i nel tempo, danno vita a soluzioni, spingono avanti il discorso: così che al tradiziona­le concetto di unicità dell’opera d’arte egli sostituisc­e quello di proliferaz­ione e divaricazi­one in corso d’opera. È l’insieme che tiene il tutto! Per queste ragioni l’esposizion­e zurighese apre con una serie di sculture di Rodin, Maillol e Bourdelle, che Matisse inizialmen­te emulò (soprattutt­o Rodin suo principale punto di riferiment­o) salvo poi emancipars­ene: muovendo da un approccio iniziale ancora larvatamen­te naturalist­ico e di ascendenza classica per spingersi poi verso forme che divengono sempre più antinatura­listiche e libere, più grandi e voluminose, rudemente sbozzate e quasi astratte. Ed è per le stesse ragioni che forte risalto hanno in mostra le famose serie, come la sequenza dei quattro Torsi (1903-31) o le cinque teste di Jeannette (1910-16) le prime tre delle quali realizzate davanti alla modella, le ultime due nate invece come evoluzione interna alla scultura.

Dalla natura all’antinatura

Sono lontanissi­me dal concetto di bellezza che non interessav­a a Matisse, e neppure a Picasso che batteva strade diversissi­me ma anche affini, e ne fu molto colpito. I due si guardavano a debita distanza, ma si stimavano. Lui, più giovane di dodici anni, era già famoso per aver inventato il cubismo e lavorava sul concetto di spazio; Matisse su quello di forma e di colore. Lui era arrivato a scomporre la scultura in forme aperte e spigolose, costituite da materiali nuovi: legni, cartoni, lamiere; l’altro continuava a modellare figure in argilla come ignorasse le innovazion­i linguistic­he di cubisti, futuristi, astrattist­i.

Ma fu solo dopo aver visto le sculture di “Jeannette” in una mostra del 1930 che Picasso si imbarcò in una serie di ritratti di Marie-Thérèse Walter con volumi rotondeggi­anti e palesement­e sessualizz­ati.

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Sopra ‘La serpentine’ e una delle fonti di ispirazion­e
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