‘Metamorfosi’, il Matisse scultore
La rassegna zurighese allinea oltre settanta opere, insieme a interessanti suoi spunti visivi
È nota l’importanza di Henri Matisse nell’ambito della pittura moderna per via del colore fauve di cui egli fu l’autorevole capofila. Assai meno noto è invece il contributo che egli diede alla scultura: un vero e proprio mondo alternativo ma che gli serviva – così scriveva – per “riposare la mente dalla pittura” e affrontare il problema del moderno da un’altra prospettiva che non fosse quella della bidimensionalità della tela ma nella tridimensionalità dello spazio. Creò un’ottantina di sculture in tutto, metà delle quali realizzate il 1900 e il 1910, e cioè negli anni più cruciali della sua ricerca artistica; poi andò progressivamente calando man mano ci si accostava agli anni trenta. Picasso, suo antagonista nella Parigi di inizio secolo, ne produsse quasi dieci volte tante. La rassegna zurighese, molto ben allestita, allinea oltre settanta sue opere tra sculture, dipinti e disegni, il tutto affiancato da materiale documentaristico inedito come fotografie, appunti, filmati d’epoca. Questo perché essa intende dare debito risalto non solo al dialogo che si instaura tra pittura e scultura nella produzione di Matisse, ma anche alle occasioni più strane dalle quali è partito per creare le sue opere, come le fotografie di nudi femminili – soggetto fondamentale in tutta la sua produzione – che trovava su riviste o al mercatino delle pulci: da qui il titolo ‘Metamorfosi’. Ma soprattutto evidenzia il particolare modo di lavorare di Matisse che, nel suo caso, non è solo un procedimento ma diventa un tratto distintivo dell’arte moderna, un nuovo modo di concepire il prodotto artistico. Vale a dire che l’opera d’arte non è tanto un singolo bellissimo oggetto quanto un processo che cresce nel tempo, matura nel passaggio da un’opera all’altra e da un artista all’altro, con coerenza e continuità, inseguendo obiettivi che non sono quelli astratti della verosimiglianza o della bellezza, ma quelli maturati dalla storia dell’arte e giunti fino a noi.
Arte come flusso
È la rivendicazione dell’autonomia dell’arte che trova al proprio interno le sue leggi e che si tratta poi di portare conseguentemente avanti. Egli concepisce quindi l’arte come un flusso che si modifica e cresce al proprio interno, per questo copriva le pareti di casa e faceva perfino esposizioni in cui esponeva tutta la sequenza di disegni e variazioni che accompagnavano un soggetto o un dipinto, in qualche caso documentandone le tappe mediante fotografie. È il processo quello che per lui conta, cioè la “metamorfosi” delle forme che trapassando da una scultura all’altra e spostandosi nel tempo, danno vita a soluzioni, spingono avanti il discorso: così che al tradizionale concetto di unicità dell’opera d’arte egli sostituisce quello di proliferazione e divaricazione in corso d’opera. È l’insieme che tiene il tutto! Per queste ragioni l’esposizione zurighese apre con una serie di sculture di Rodin, Maillol e Bourdelle, che Matisse inizialmente emulò (soprattutto Rodin suo principale punto di riferimento) salvo poi emanciparsene: muovendo da un approccio iniziale ancora larvatamente naturalistico e di ascendenza classica per spingersi poi verso forme che divengono sempre più antinaturalistiche e libere, più grandi e voluminose, rudemente sbozzate e quasi astratte. Ed è per le stesse ragioni che forte risalto hanno in mostra le famose serie, come la sequenza dei quattro Torsi (1903-31) o le cinque teste di Jeannette (1910-16) le prime tre delle quali realizzate davanti alla modella, le ultime due nate invece come evoluzione interna alla scultura.
Dalla natura all’antinatura
Sono lontanissime dal concetto di bellezza che non interessava a Matisse, e neppure a Picasso che batteva strade diversissime ma anche affini, e ne fu molto colpito. I due si guardavano a debita distanza, ma si stimavano. Lui, più giovane di dodici anni, era già famoso per aver inventato il cubismo e lavorava sul concetto di spazio; Matisse su quello di forma e di colore. Lui era arrivato a scomporre la scultura in forme aperte e spigolose, costituite da materiali nuovi: legni, cartoni, lamiere; l’altro continuava a modellare figure in argilla come ignorasse le innovazioni linguistiche di cubisti, futuristi, astrattisti.
Ma fu solo dopo aver visto le sculture di “Jeannette” in una mostra del 1930 che Picasso si imbarcò in una serie di ritratti di Marie-Thérèse Walter con volumi rotondeggianti e palesemente sessualizzati.