L’antipolitica
Alludo alla parte del Prl e a quella del Ppd che, consapevoli della probabile, per non dire sicura, conseguenza, non hanno votato Lombardi/Merlini e mi spiego.
Quale cittadino Ppd, avvocato e sindaco di Gnosca per venti anni, ho deplorato gli eccessi della ventennale coalizione radico-socialista. L’ho anche combattuta sia nel Comune sia nel Cantone; non solo, ma sulla Stampa (cfr. Popolo e Libertà del 2 febbraio 1967 e del 16 ottobre 1979), ho anche dimostrato la sua incostituzionalità, senza suscitare la reazione del compianto avv. Plinio Verda, direttore dell’allora “Il Dovere”, il che è tutto dire; inoltre, in Gran Consiglio, l’ho definita una “Arcadia politica”. Però, già allora, non tralasciavo occasione per preconizzare un accordo tra Plr e Ppd senza perdere la loro rispettiva identità, nell’intento di formare un Centro forte, perché lo ritenevo e lo ritengo indispensabile per il progresso economico, condizione necessaria per il progresso sociale; tanto è vero che al Congresso del Ppd sul San Gottardo, dello scorso mese di ottobre, così ho salutato il bel discorso dell’avv. Merlini: “Sono più di 50 anni che attendevo questo momento”. Perché? Perché l’accordo, almeno elettorale, tra i due Partiti storici, non solo è necessario, ma è anche la logica sintesi delle rispettive loro ideologie, specie in un regime assembleare con una legge elettorale proporzionale.
Certo, nel passato, anche non tanto remoto, ci sono stati eccessi tanto dell’una quanto dell’altra parte, soprattutto a livello comunale. Però la Ragione, oggi più che mai, non consiglia di esaminare, oggettivamente, quali steccati possono, ragionevolmente, ancora dividerci in modo totalmente impermeabile? L’economia? Ma il lavoro, da sempre, è considerato dai due Partiti l’essenza della dignità e della libertà dell’uomo e il lavoro lo può dare, in modo libero, equo e sicuro, solo una solida economia di mercato, quindi si tratta di stabilire quanta socialità va immessa e come in detta economia. Però questo è questione di misura, di equilibrio e di ragionevolezza, insomma di… Centro e le teorie servono poco, perché gli economisti dicono uno sì e l’altro no e, sia l’uno sia l’altro, è premio Nobel, per cui, quando incontri il dogma opponi la dialettica non un altro dogma. Allora il fatto religioso? Convengo che è più problematico, appunto a seguito degli eccessi passati dell’uno e dell’altro Partito. Ma determinanti, oggi, sono gli eccessi passati o l’essenza di ogni cosa, massimamente delle ideologie? Ecco allora, a questo proposito, l’opinione di chi la sa molto ma molto più a lungo di quanto posso opinare io: Voltaire, sicuramente non clericale, questo ha detto nel celeberrimo Trattato sulla Tolleranza: “Dovunque c’è una società organizzata, una religione è necessaria: le leggi vegliano sui crimini conosciuti e la religione sui crimini segreti”. E, prima di lui, il famoso giurista/filosofo Gaetano Filangeri (1753-1788), in “Caratteri della nuova religione che si dovrebbe all’antica sostituire” dà questa luminosa definizione: “Il bene da essa prescritto dovrebbe essere non solo il bene dalla legge ordinato, ma anche quello che il legislatore deve ottenere, senza poter descrivere; il male da essa proibito dovrebbe essere non solo il male dalla legge condannato, ma anche quello che il legislatore deve evitare, senza poter condannare”. Una specie di servizio pubblico, allora? Allora, più vicino a noi, ecco cosa il filosofo Regis Debray (1940), in “La laicité au quotidien”, consiglia: “Solo uno Stato totalitario può volere la laicizzazione della società; è lo Stato che va reso laico ed è la sua esistenza che può dare corpo a questa parola”.
Però, mi si obietterà, tutto è questione di misura. Certo, ma è pure tutto questione di misura anche all’interno dei nostri due Partiti. Diversamente, come potrebbero coesistere nel Prl i Liberali accanto ai Radicali e, nel Ppd, i Conservatori accanto ai Cristiano sociali? Allora i due Partiti, senza perdere il rispettivo colore, ragionevolmente, non potrebbero intendersi elettoralmente ispirandosi a detti saggi? È in giuoco il progresso economico del cantone, quindi anche quello sociale.
Ma i rancori personali dentro e tra i due Partiti, allora? Non li escludo e, purtroppo, a quelli, solo il tempo, il più grande medico di questo mondo, può porre rimedio. Però, a ben guardare, la soddisfazione (amara, oggettivamente), derivante dal risultato di questa competizione elettorale, ora, non è sufficiente per compensare l’azione con la reazione e placarli?
In ogni modo, per concludere, Filippo Lombardi e Giovanni Merlini vanno ringraziati vivamente e sinceramente per aver accettato una sfida che comportava, per loro soprattutto, un grande rischio: hanno perso, ma hanno suscitato una speranza arando nella giusta direzione e dimostrando che quella è la sola ragionevolmente percorribile, per cui i frutti non potranno mancare: non sarà per domani, ma il tempo e la paglia fanno maturare persino le pere più acerbe, anche se qualche fanatico rimarrà. I Partiti di sinistra, quelli di estrema destra e i populisti, per vincere bene, devono vincere con i voti dei loro rispettivi aderenti, non con il comportamento di parte dei Partiti di Centro.
Da ultimo ma non meno importante, una confidenza: sinceramente, anche se deploro molto la perdita di un prezioso politico quale è per tutta la Svizzera Filippo Lombardi (la sua mancata rielezione mi ricorda quella del grande Stefano Franscini), preferisco questo risultato, piuttosto che Lombardi a Berna senza Giovanni Merlini, perché avrebbe cementificato gli steccati tra i due partiti almeno per una generazione.