Di Haber e d’altri
Una decina di anni fa Roman Polansky, arrivato in Svizzera per ritirare un premio alla carriera al Festival di Zurigo, si trovò incarcerato con l’accusa (…)
(…) di aver avuto in passato “relazioni sessuali illecite” con giovani ragazze. Dare un riconoscimento a un tale personaggio, è mai possibile? Si aprì una polemica dai toni accesi: alcuni sostenevano, al di là della fondatezza delle accuse e della richiesta di estradizione da parte della giustizia americana, che il premio era stato assegnato al regista e non all’uomo Polansky; altri ritenevano invece che non fossero separabili le opere dal suo discusso autore e che quindi un delinquente non meritava alcun premio.
Dall’ambito sessuale (gli esempi nel mondo dello spettacolo si sprecano, come ha insegnato anche il movimento me too) a quello politico. Un mito che tutti abbiamo amato è quello di John Wayne, l’eroe del West dall’inconfondibile andatura caracollante, un buono che sta dalla parte degli oppressi e raddrizza i torti a suon di cazzotti; che difende i deboli e i sacrosanti princìpi della giustizia, mettendo in gioco la sua stessa vita per salvare quella degli altri. Poi un giorno vieni a sapere che nella vita privata il grande John era quello che oggi si chiamerebbe un ‘suprematista bianco’, vicino alle ideologie praticate in Usa dal Kkk, e quindi agli antipodi del suo stereotipato personaggio cinematografico. Delusione! È lecito chiedersi: l’uomo e l’attore devono essere considerati un’unica cosa o sono due realtà ben distinte; contano le scelte nella sua vita privata (certo non condivisibili), o quello che ci ha fatto vivere attraverso i personaggi interpretati sullo schermo?
Ma il caso forse più clamoroso è quello di un grande scrittore norvegese morto nel 1952 a 92 anni: Knut Hamsun, premio Nobel per la letteratura nel 1920. Se fate una ricerca in rete su di lui trovate affermazioni lapidarie come la seguente: ‘Sostenitore del nazionalsocialismo, durante la seconda guerra mondiale aderì al governo filotedesco di Vidkun Quisling. Per questo alla fine della guerra fu posto sotto processo per collaborazionismo e internato in un manicomio fino al 1948’. Il Premio Nobel gli fu ritirato (!) e i suoi libri bruciati sulla pubblica piazza; una vera e propria ‘damnatio memoriae’ di antica memoria. Come ha potuto la stessa mano scrivere pagine di grande letteratura e pochi decenni dopo tessere gli elogi di Hitler e compagnia?
Se si leggono i suoi capolavori senza nulla conoscere della sua vicenda privata si rimane sicuramente conquistati da Fame, Il Risveglio della Terra, Un vagabondo suona in sordina, Pan e altri ancora, per non dire dello straziante Per i sentieri dove cresce l’erba, romanzo autobiografico nel quale racconta la sua versione dei fatti e la tragica esperienza vissuta nel dopoguerra quando appunto fu rinchiuso in un istituto per malattie mentali senza poter nemmeno accedere alla biblioteca e ai suoi stessi libri.
Allora: l’uomo è la sua opera, oppure bisogna distinguere o mediare? Insomma, come dobbiamo giudicare noi un autore della levatura di Hamsun: sulla base di alcune discusse scelte fatte in età senile, oppure sulle pagine indimenticabili dei suoi romanzi, amate da lettori in tutto il mondo lontani dall’ideologia nazionalsocialista? Forse, in sintesi, credo si possa dire che si può apprezzare l’artista, e in qualche caso perfino amarlo, anche se l’uomo che sta dietro gli arriva solo alla cintola.