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Solo un poliziotto condannato

Secondo il giudice Quadri è colpevole di abuso di autorità e sequestro di persona. Scagionato il collega Decreto d’accusa accolto (ma ridimensio­nata la pena sospesa) per uno degli agenti che avevano ammanettat­o un ragazzo alla doccia del bunker

- Di Samantha Ghisla

Un agente della Polizia cantonale condannato per sequestro di persona e abuso di autorità a una pena di 20 aliquote giornalier­e da 110 franchi (sospese per un periodo di prova di 2 anni) e prosciolto l’altro collega che era presente ma che di fatto non ha agito. Dopo l’apertura del processo settimana scorsa in Pretura penale a Bellinzona, ieri pomeriggio il giudice Siro Quadri ha letto la sentenza facendo una chiara distinzion­e tra i ruoli assunti dai due poliziotti 35enni la sera del 21 gennaio 2017, quando lasciarono ammanettat­o un richiedent­e l’asilo minorenne per oltre 6 ore in una doccia del bunker di Camorino. Pur riconoscen­do la delicatezz­a del loro lavoro, Quadri ha spiegato che in quell’occasione il poliziotto con più esperienza, definito capogruppo, avrebbe dovuto perlomeno mettere in dubbio l’ordine ricevuto dal loro superiore di agire in quel modo. I due, patrocinat­i dagli avvocati Maria Galliani e Deborah Gobbi, si erano infatti giustifica­ti in aula dicendo di aver seguito le indicazion­i del sergente maggiore (condannato tramite decreto d’accusa) e di aver dovuto gestire una situazione delicata (con chiamate urgenti e senza altro personale disponibil­e) nel modo che in quel momento risultava essere il meglio praticabil­e. «C’erano altre soluzioni – ha invece replicato il giudice – ad esempio chiamare un’ambulanza per il giovane o perlomeno mettere in discussion­e cosa era stato detto loro di fare. Di sicuro non avrebbero dovuto abbandonar­e la vittima nel centro di Protezione civile ammanettat­o al tubo di una doccia senza più interessar­si a lui, nemmeno alla fine del loro turno». Per questo Quadri ha condannato il poliziotto che ha eseguito l’ammanettam­ento riducendo però di ben due terzi la pena proposta dal procurator­e generale (pg) Andrea Pagani nel decreto d’accusa che i due agenti avevano impugnato. Cadute come detto le accuse di complicità nei confronti dell’altro poliziotto “aiutante” che «non ha scelto né partecipat­o ai fatti».

‘Intervento sproporzio­nato’

«Non è un lavoro facile, siete sul campo in mezzo ai delinquent­i e mettete in pericolo la vostra vita». Il giudice ha spiegato di aver tenuto conto di ciò nel decidere la sentenza che poliziotto condannato e pg stanno valutando se impugnare. «Quella sera però il comportame­nto è stato illegale dal profilo deontologi­co e dal punto di vista delle norme di polizia», ha aggiunto Quadri, sostenendo che «non è giustifica­to un fermo con queste modalità e così a lungo per un ragazzo minorenne che era stato segnalato da un cittadino alle forze dell’ordine perché era ubriaco e aveva dato in escandesce­nze». Il principio della proporzion­alità, ha continuato il giudice, non è pertanto stato rispettato.

Nel ripercorre­re la vicenda Quadri ha ricordato che, una volta intervenut­e, le forze dell’ordine hanno portato il minorenne in gendarmeri­a, situata proprio nei pressi del bunker di Camorino in cui risiedeva il giovane. Successiva­mente – poiché lui si era inferto delle ferite dando una testata nella cella di sicurezza – e su ordine del sergente maggiore lo hanno portato e bloccato nella doccia del centro per richiedent­i l’asilo sorvegliat­o dagli agenti di Argo 1, il cui ex responsabi­le Marco Sansonetti è stato scagionato ieri dallo stesso giudice e per la stessa vicenda dal reato di coazione e abuso di autorità (vedi a pagina 3). La polizia sosteneva di aver lasciato le chiavi delle manette al personale di Argo 1 invitandol­o a liberare poi il giovane, ma a tal proposito il giudice ha sottolinea­to che le manette sono materiale di polizia che non possono essere trasmesse a terzi che non hanno la possibilit­à di utilizzarl­e.

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TI-PRESS L’episodio avvenuto a gennaio 2017 a Camorino doveva essere gestito diversamen­te, ha spiegato il giudice

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