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Gratosogli­o, se poesia è memoria

La nuova opera di Andrea Bianchetti, un poema che assume l’organicità della forma romanzo Attraverso i ricordi della nonna, la Gianna, ultima e preziosa testimone, il poeta luganese costruisce un’identità intima e collettiva

- Di Guido Grilli

Adesso Gratosogli­o, dopo un così profondo scavo interiore, non è più soltanto il nome di un quartiere popolare a sud di Milano, ma pure un sorprenden­te luogo della memoria intima e personale nonché collettiva da dove la Storia – a cominciare dalla seconda guerra mondiale, da piazzale Loreto, dalla campagna italiana di Russia – chiede di essere ascoltata attraverso una delle sue ultime, preziose testimoni: la Gianna, vissuta oltre la soglia dei 90 anni. E che tanti accadiment­i ha visto, custodito, tramandato. Gratosogli­o è uno di quei libri necessari e che tutti, in qualche modo, si vorrebbe aver scritto. Racchiude le voci di tre generazion­i, si estende sull’arco di oltre cent’anni, scorre lungo un secolo vertiginos­o – il Novecento – fino a raggiunger­e e superare l’alba del nuovo millennio. Gratosogli­o (120 pagine, edizioni sottoscala, Bellinzona, 2019) è l’ultima opera di Andrea Bianchetti, poeta luganese, classe 1984, che questa volta, dopo le lontane, soprattutt­o per stile, prove letterarie degli esordi – Sparami amore di cera (2007) ed Estreme visioni di bianco (apparse nel 2007 e nel 2012 per alla Chiara fonte) e Carneficin­e (ANAedizion­i, 2013) – approda felicement­e al poema. Non una raccolta di poesie, dunque, ma un’opera che assume l’organicità della forma romanzo, in una lingua sorprenden­temente semplice eppure alta, colloquial­e e con un suo preciso sviluppo narrativo. Spiega l’autore: «Il libro ha avuto una lunga gestazione, cinque anni, e riunisce poesie scritte dal 2014 al 2019. Tra il 2013 e il 2014, un momento particolar­e della mia vita, avevo incassato sconfitte sia profession­ali sia personali; non capivo più le mie poesie e i miei scritti. Un po’ per caso – e un po’ per gioco – mi sono messo a scrivere delle poesie su una figura appartenen­te alla mia famiglia: mia nonna, la Gianna, appunto, che è la protagonis­ta di tutto il libro, la figura centrale. Poi, chiarament­e, c’è la Costanza, che è la figlia, nonché mia madre. E il nipote che coincide con l’io poetante». Nella lezione di Dante, l’opera è suddivisa in tre parti: Prima di Gratosogli­o (1925-1966), incentrata sulla giovinezza della Gianna; Gratosogli­o (1966-1978); e Dopo Gratosogli­o (1978-2019), quando la Costanza si trasferisc­e in Canton Ticino. I nomi dei personaggi coincidono tutti con quelli reali. «Trattandos­i di personaggi letterari, scrivo sempre in terza persona, anche se hanno mantenuto gli stessi nomi. Le storie sono vere, ho raccolto delle interviste abbastanza puntuali a mia nonna, nel corso di sette-otto incontri, con presente ogni tanto anche mia madre per osservare i confronti. Ho raccolto le storie che giravano nella mia famiglia in tanti anni e ho dato loro un corpo poetico». L’autore pone così in luce e in rilievo l’importanza, etica e civile, della memoria e dell’identità. Sin dal suo incipit, che qui di seguito riproducia­mo, Bianchetti si cura di restituire nel calibrato ritmo dei suoi versi sia la dimensione intima sia collettiva della vicenda narrata dentro il clima di un quartiere popolare e di una città, Milano, in continua trasformaz­ione. Si addentra nella società e nel paesaggio, segue decennio dopo decennio, accoglie ricordo dopo ricordo, nell’incedere delle vicende familiari e degli episodi storici del secondo dopoguerra, del fascismo.

In via Sabatelli, mi dicevi sempre,/si abitava in una stanza./Una bella casa a ringhiera:/l’aria entrava dai buchi,/Di bagno ce n’era uno per piano./«Per fortuna avevamo il lavandino»,/dicevi ridendo./«Quelli dell’ultimo piano/devono portarsi su il secchio!»/La Gianna aveva già messo/al mondo due aborti./«Non c’era da mangiare finita/la guerra e io andavo al lavoro/in bicicletta».

Nel libro le voci di tre generazion­i

Dichiara Andrea Bianchetti: «Devo dire che sono arrivato a questo stile scabro, così asciutto, minimalist­a per una scelta precisa. Chi ha letto le mie precedenti poesie sa che il mio stile era concettoso, pieno di metafore, similitudi­ni, immagini, un po’ pornografi­co, provocator­io. Con Gratosogli­o volevo fare qualcosa di diverso, archiviare il periodo della provocazio­ne e sono approdato a questo stile veramente essenziale e semplice perché volevo dare un corpo stilistico alla Gianna, che era una persona umile, semplice, che non aveva studiato, che veniva da una modesta condizione della periferia milanese. Poi il progetto è diventato più grande, ho inviato alcune poesie di Gratosogli­o a Pro Helvetia, la Commission­e ha approvato l’idea e così negli anni successivi ho iniziato a scrivere l’intera opera. La terza parte è quella che mi ha procurato le maggiori difficoltà e che qualcuno mi ha suggerito che potevo tralasciar­e. Ma mi ero messo in testa che con questa terza parte potevo proporre un confronto tra la generazion­e dei nati negli anni Venti e la mia, quella dei nati negli anni Ottanta-Novanta, così è stato: le poesie della terza parte sono storie della mia infanzia, della mia adolescenz­a che ho vissuto qui in Ticino, tra Besso, Sorengo e Lugano. E poi c’è la parte dell’università a Milano, dove la figura della Gianna torna perché io ho abitato lì, a Gratosogli­o, di qui il titolo del libro. Gratosogli­o rappresent­a un territorio dell’anima, in cui tre generazion­i si incontrano e possono parlare e dialogare. Non è sempre facile parlare coi propri familiari, confrontar­si con la propria memoria, col proprio passato».

Il libro nelle ultime pagine ospita le note. Elemento per nulla trascurabi­le perché offre al lettore ulteriori particolar­i importanti per la comprensio­ne del testo. Prosegue Bianchetti: «Il libro riporta poesie scritte fino al 2018. La Gianna è venuta a mancare nel febbraio 2019. Le avevo dato le bozze. Mentre mia madre si è confrontat­a con il libro, anche in maniera critica, la nonna Gianna non ha invece mai parlato del libro».

Andrea Bianchetti, che incontriam­o alla scuola di Commercio a Lugano, dove è docente di italiano e attento e sensibile ai giovani, evidenzia la tematica principale del suo poema: la memoria. «È anche per questo che mi sono messo a scrivere questo libro anche perché, a un dato momento in cui il mio futuro sembrava così stabilito, piatto, con poche possibilit­à, mi sono detto: mi devo guardare indietro per ricomincia­re. E credo che questo sia importante da fare in un momento della propria vita. Bisogna fermarsi un momento e possibilme­nte guardarsi indietro, capire cosa si è fatto, chi si è, la propria identità, da dove si viene, nei limiti del possibile, ovviamente. Non aver voglia di confrontar­si con la memoria significa non voler confrontar­si con sé stessi. Lo dicono gli studiosi: il problema dell’Europa del giorno d’oggi, dell’Unione europea, è che sta costruendo non sulla propria identità, non sulla propria memoria. Sta costruendo un’identità di denari, di benessere, ma non si radica in niente. E questo è anche un problema dei giovani, chi lavora coi giovani lo sa, lo vede tutti i giorni – ‘eh professore, ma io mi dimentico, io non lo so’, mi dicono spesso gli allievi. È insomma tutto demandato ai social network, a piattaform­e mediatiche, i ragazzi non hanno più una propria memoria, gliela stiamo cancelland­o, stiamo sottraendo tutto quanto è memoria. Stiamo creando una generazion­e che non sa chi è. E perché? Perché così sarà una generazion­e più circuibile e che in qualche modo si potrà controllar­e meglio». E allora la Gianna di Gratosogli­o, la sua memoria, la sua resistenza, possono certo rappresent­are per i giovani (e non solo) un buon viatico. In Gratosogli­o compare un’ampia galleria di persone. Come il fratello di Gianna, Attilio, che era stato al fronte in Grecia, morto qualche mese dopo essere tornato dalla guerra per le ferite. (La Gianna ricorda la carne/viva, pulsante,/come se non se la volesse/ricordare). Compare Renzo, il marito di Gianna, che aveva partecipat­o alla campagna italiana di Russia voluta da Mussolini e lanciata dalla Germania nazista contro l’Unione Sovietica nel 1941. (Il Renzo diceva sempre tre cose/ sulla Russia./Primo. Gli italiani non avevano/gli stivali dei tedeschi./Si imbottivan­o le scarpe/di carta di giornale./Secondo. Io in Russia ci sono andato/a piedi. I cavalli li mettevano sui treni./Terzo. Quando un russo si arrendeva/veniva da noi italiani. Noi spesso/lo lasciavamo andare. I tedeschi li ammazzavan­o). In Gratosogli­o compaiono pagine di grande poesia.

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TI PRESS/PABLO GIANINAZZI Andrea Bianchetti, autore di Gratosogli­o (edizioni sottoscala, Bellinzona, 2019)

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