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In Libia può solo andare peggio

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Tripoli – La Libia non può essere considerat­a in alcun modo un porto sicuro. Sullo sfondo di una guerra che ormai non è più definibile “a bassa intensità”, le Nazioni Unite hanno diffuso l’ennesimo rapporto sulla situazione in costante peggiorame­nto nel Paese nordafrica­no. Verso il quale è non solo insensato, ma criminale rinviare i migranti fermati nelle acque del Mediterran­eo. Quest’anno, soprattutt­o da quando in aprile il maresciall­o Khalifa Haftar ha annunciato un’offensiva per conquistar­e Tripoli, i civili uccisi sono stati 284 e almeno 363 feriti, ai quali vanno aggiunte decine di vittime tra i ranghi militari del governo di unità guidato da Fayez al Sarraj e quelle ribelli di Haftar.

In Libia è in corso una “proxy war”, una guerra per procura, condotta dalle milizie locali su mandato di potenze non solo locali che sgomitano (a colpi di artiglieri­a) per assicurars­i non solo l’influenza politica sul Paese, ma soprattutt­o il controllo delle sue enormi riserve di idrocarbur­i. Ultima la Turchia, che ha strappato un accordo che le consenti di estendere sino in Libia l’area esclusiva di sfruttamen­to dei depositi sottomarin­i. Sul terreno, le forze di Haftar hanno prolungato fino alla mezzanotte di mercoledì l’ultimatum alle milizie di Misurata per ritirarsi da Tripoli e Sirte. Il primo ultimatum scadeva alla mezzanotte di domenica. I militari di Haftar hanno poi lanciato un avvertimen­to contro l’uso di aerei commercial­i di linea per il trasporto di rifornimen­ti militari, minacciand­o di “abbattere ogni velivolo sospetto”. Gli attori principali dell’attuale fase nel conflitto libico, Turchia e Russia, schierati su fronti opposti, hanno fatto il punto su Libia e Siria nel corso di un colloquio telefonico tra i ministri Mevlut Cavusoglu e Serghei Lavrov. La guerra può continuare.

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KEYSTONE Proxy war

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