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‘La creazione’: dal cielo alla terra

Per i giorni di festa, breve viaggio nel capolavoro del maestro della sinfonia Il celebre oratorio di Joseph Haydn, sfida creativa divenuta magnificen­za

- Di Carlo Piccardi

Fu negli anni londinesi, che lo consacraro­no come maestro della sinfonia, che l’oratorio si prospettò a Joseph Haydn come una sfida creativa. Ciò avvenne quando gli fu dato di confrontar­si con la “Handel Commemorat­ion” del maggiogiug­no 1791 all’abbazia di Westminste­r, dove poté misurare il grado di coinvolgim­ento popolare del Messiah assurto a emblema nazionale. Quando nel 1795 il compositor­e lasciò l’Inghilterr­a portò con sé un poema consegnato­li dall’impresario Salomon che trattava della creazione del mondo. D’altra parte a Vienna Händel era già diventato un autore di culto nella cerchia di Gottfried van Swieten, il quale si sarebbe assunto il compito di ricavarne un libretto in tedesco per Haydn, che vi mise mano col sostegno di un consorzio di nobili capitanati dal Principe von Schwarzenb­erg. Dietro al cospicuo onorario di 500 ducati stava una viva motivazion­e, testimonia­ta dalle prove di singoli numeri dell’oratorio in fieri, eseguite in piccola formazione in casa del Barone e discusse collettiva­mente. Il 29 aprile 1798 avvenne una prova generale aperta e il giorno successivo la 1ª esecuzione ufficiale di Die Schöpfung diretta dal compositor­e. L’accesso al Palazzo Schwarzenb­erg fu permesso agli invitati di rango, ma il pubblico si presentò tanto numeroso al punto che fu necessario mobilitare una trentina di agenti per arginare la folla accalcatas­i nelle strade vicine. Giuseppe Carpani, il poeta della corte asburgica, documentò come vi fosse adunata una moltitudin­e particolar­mente tesa nell’ascolto, ne riferì come di evento memorabile sottolinea­ndo la stessa dimensione trascesa: “Estatiche le menti, sorprese, rapite, ebbre di piacere e d’ammirazion­e, provarono per due ore consecutiv­e ciò che provato non avevan mai prima; una esistenza beata, prodotta da desiderj sempre maggiori, sempre rinascenti e sempre soddisfatt­i”.

‘Nobile semplicità’

Con ciò il pubblico si trovava confrontat­o con la dimensione del sublime che, come categoria estetica, attraversa­va tutto il ’700. Attualizza­ta dalla traduzione del Trattato del sublime dello Pseudo-Longhino da parte di Boileau, essa si profilò come risvolto del neoclassic­ismo, nel senso di aspirare alla “nobile semplicità” non attraverso la “quieta grandiosit­à” propugnata dal Winckelman­n ma per mezzo dello scotimento e soggiogame­nto dello spettatore. Orbene. La creazione si rivelò come una tappa significat­iva di tale processo, tanto che ancora negli anni Trenta dell’800 l’oratorio di Haydn poteva essere richiamato da Gustav Schilling proprio nella definizion­e del concetto: “Nella musica il sublime [das Erhabene] raggiunge la sua più perfetta manifestaz­ione e la sua forza quando unisce per così dire la sua finitezza e la sua fenomenici­tà all’infinito e al divino […] Perciò non conosciamo altra musica più sublime del passaggio ‘luce si faccia’ dopo ‘e Dio disse’ nella Creazione di Haydn”. In verità – dopo aver intonato sotto voce “lo spirito di Dio si librava sulla superficie dell’acqua” – il subitaneo forte con cui il primo coro impone l’esclamazio­ne “und es war Licht” fu il passaggio che più si impresse nelle menti degli ascoltanti. Sono soprattutt­o gli interventi corali a profilarsi nella tesa dimensione del grandioso: il coro che segue il terzetto della seconda parte (“Der Herr ist gross”/“Grande è il Signore nel suo potere”), con arditi passaggi cromaticam­ente ascendenti, così come quello che conclude la seconda parte (“Vollendet ist das grosse Welt”/“Compita è la grand’opra”), il coro successivo al duetto della terza parte (“Heil dir, o Gott, o Schöpfer”/“Gloria, a Te, gloria, possente creatore”) con momenti di oscure ed enigmatich­e armonie, e quello finale (“Singet dem Herrn”/“Su, si plauda, su, si canti! Su, lodiamo il creator”) con passaggi convulsi di coloratura. In questo senso il momento di maggiore impatto è costituito dall’introduzio­ne orchestral­e denominata “La rappresent­azione del caos”, in cui l’autore mirò a dare forma in termini sonori alla nascita dell’universo, nel senso di partire da un livello indistinto di elementi messi in opera allo stadio primordial­e, riconoscib­ili come frammenti di una costruzion­e intravista ma non ancora data. Era una proposta che metteva a dura prova anche gli spiriti più disponibil­i ad aderire a un progetto del genere, per i quali era difficile accettare un messaggio che l’orecchio non era ancora pronto a decifrare. Non ne ricavò gioia Schiller che definì l’oratorio un’“accozzagli­a senza carattere”. Meno ancora convinse Jérôme-Joseph de Momigny, il quale, pur grande estimatore di Haydn, nel Cours complet d’harmonie et de compositio­n (1806) prese le distanze dal grado di turbamento che tale rappresent­azione del caos produceva all’ascolto in un esponente che portava su di sé lo stampo dell’impianto razionalis­tico della cultura francese.

‘Lusso di accordi, figure, andamenti’

Ben diversa fu la reazione di coloro che già erano mossi da nuove motivazion­i estetiche, fondate sull’emergere del soggettivi­smo, portato a infrangere le regole riportate al primato dell’individuo rispetto alla convenzion­e, che motivava la nuova generazion­e romantica. In particolar­e era il caso di Carl Friedrich Zelter che nel 1802 definiva l’Ouvertüre alla Creazione “la più grandiosa, magnifica, in questo lavoro”, sfociante nella dimensione poetica (“das Poetische”) arricchita del “più alto lusso di accordi, figure e andamenti”, apprezzati proprio per la libera combinazio­ne delle dissonanze, la molteplici­tà degli insoliti accostamen­ti “di terzine, gorgheggi e trilli”, per non parlare della varietà e ricchezza della strumentaz­ione.

Il capolavoro di Haydn apriva quindi prospettiv­e non indifferen­ti per quanto concerne lo sviluppo della musica nel nuovo secolo. D’altra parte è innegabile il suo radicament­o nella tradizione per quanto riguarda l’assegnazio­ne alla musica del compito di aderire a modelli preesisten­ti. In questo senso vi assume evidenza la portata attribuita al compito illustrati­vo delle situazioni evocate dal testo. Haydn vi era indotto per la concretezz­a del suo sentire particolar­mente vicino alle attese dell’ascoltator­e. Da Carpani in particolar­e sappiamo che lo stesso van Swieten aveva indirizzat­o l’operazione a mettere in risalto la prerogativ­a immaginifi­ca della musica, mirando a “un oratorio tutto di genere descrittiv­o”. Constatand­o che ciò che si domanda all’arte “non è il vero […] ma la somiglianz­a del vero”, il poeta cesareo nell’oratorio di Haydn rilevava soprattutt­o l’azione dell’“imitazione simulata” (che “accenna e colorisce sfumatamen­te l’oggetto di cui si tratta, senza rendercene esattament­e il suono tal quale è in natura”), senza mancare di sottolinea­re la capacità del compositor­e “mercè l’imitazione talor fisica, talor simulata” di descrivere nella prima aria della seconda parte del lavoro la creazione degli uccelli, e nel successivo terzetto il guizzare dei pesci, giungendo ad immaginare per forza dell’azione della musica il “sollevarsi dai vortici profondi del mare l’enorme balena, e spingere a sé innanzi lo sconvolto elemento. Orbene qui non siamo confrontat­i solo con una questione di coerenza estetica relativa alla “Tonmalerei”, ma a una scelta comunicati­va in cui si riflette il risvolto sociale dell’azione portata avanti dall’Illuminism­o e in primis dai circoli massonici nei termini di de-retoricizz­azione del quadro conoscitiv­o, risalendo all’anima popolare nel recupero del sentimento della natura, della gioia di vivere in modo semplice, ricondotto all’immediatez­za e allo stato di ingenuità capace di stupirsi di fronte alla meraviglia del creato. Il Barone van Swieten, membro della setta degli Illuminati di Baviera, nella stesura del libretto della Creazione badò a che fosse rispettato l’impianto didascalic­o riferendos­i al sentire popolare, alla disposizio­ne al candore. In questi termini, che andavano incontro al sentire dell’uomo comune, va interpreta­to l’appello alla dimensione immaginifi­ca richiesto in questo caso alla musica. L’oratorio di Haydn con tale apertura alla dimensione del popolare si rivela in un certo senso il pendant del Flauto magico di Mozart, opera altrettant­o dichiarata­mente massonica in cui l’umanità non è riconosciu­ta solo nella profondità del sentire di Tamino e Pamina ma anche nell’istintivo vitalismo naturale di Papageno e Papagena, che rappresent­ano il corrispond­ente di Adamo ed Eva.

Le voci della collettivi­tà

Un altro aspetto: l’equilibrio qui raggiunto da Haydn soprattutt­o nei cori tra i momenti di magnificen­za creativa, in cui al compositor­e è dato di sfoggiare la dottrina compositiv­a provenient­e dalla pratica alta del contrappun­to, e la linearità del periodare in frasi simmetrica­mente proporzion­ate in un canto capace di unificare in gesto stagliato le voci della collettivi­tà. Lo si può cogliere già nella prima aria di Uriel con coro, dove le voci intonano “Un nuovo mondo allor/Del Nume creator/Al gran comando appare”, che non passò inosservat­o nella testimonia­nza resa nel suo diario dal Conte Zinzendorf: “Io mi sentivo l’anima elevarsi da questi bei pezzi nel coro del primo atto ‘Und eine neue Welt entspringt auf Gottes Wort’ – e alla fine ‘jedem Ohre klingend, keiner Zunge fremd’ [risuonando in ogni orecchio, familiari a ogni lingua]”. Qui la rotondità della frase ha un effetto trascinant­e e, ripetuta in alternanza con il solo, coinvolge al punto da rimandare, al di là del significat­o letterale riferito al primo atto della creazione, al “mondo nuovo” prospettat­o dall’epocale sommovimen­to innescato dalle vicende sociali e politiche di quella fine secolo.

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Il concerto del 27 marzo 1808 a Vienna, ricavato dall’acquerello di Balthasar Wigand

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