Le tre sfide di Ursula von der Leyen
A fine novembre il Parlamento europeo ha dichiarato l’emergenza climatica e ambientale in Europa e nel mondo. Nella stessa sessione Strasburgo ha votato a larga maggioranza la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen che, con un mese di ritardo rispetto ai Trattati, è finalmente entrata in carica il primo dicembre. Un consenso costruito in mesi di complesso e delicato lavoro di mediazione e su un programma basato su due priorità: ambiente e digitalizzazione. Una transizione inclusiva, che «non deve lasciare indietro nessuno», come ha insistito in tutte le occasioni pubbliche von der Leyen, prima donna presidente della Commissione Ue. Spetterà a lei ridisegnare l’economia e le regole dell’Unione nei prossimi cinque anni. Abbastanza per essere personaggio dell’anno per quanto riguarda l’economia, come risultato dal sondaggio tra i giornalisti, commentatori ed editorialisti dell’area Economia del Corriere della Sera.
Promessa impegnativa
La promessa che ha fatto von der Leyen è impegnativa: un piano di investimenti in grado di mobilitare durante il suo esecutivo mille miliardi di euro per raggiungere nel 2050 la neutralità climatica e con altrettanto sfidanti obiettivi intermedi al 2030 in termini di taglio di emissioni di CO2. Una trasformazione complicata perché l’Ue a Ventisette (ormai la Brexit è certa) è caratterizzata da diversi livelli di sviluppo e da economie dipendenti in modo differente da carbone e petrolio. Il costo della transizione energetica, così come quello della digitalizzazione, non sarà uguale per tutti. E il rischio sociale in alcune aree sarà più elevato che in altre, anche se l’economia verde porterà alla creazione di nuovi posti di lavoro. Per questo sarà messo in campo un Just transition fund. La strategia di crescita di von der Leyen per l’Ue si fonda sul Green New Deal, che ha annunciato a pochi giorni dalla sua entrata in carica, e che investirà tutti i settori, dall’energia all’industria, dai trasporti all’agricoltura: un patto che dovrà tenere insieme le esigenze di tutti i Paesi Ue. Ma che mira a far entrare l’Unione in una nuova era, con la consapevolezza che l’Europa produce circa il 9% di emissioni di CO2 globali, che diventeranno il 6% al 2030. «Non abbiamo ancora tutte le risposte – ha detto in occasione della presentazione –. Oggi è l’inizio di un viaggio. Ma questo è il momento dell’arrivo sulla Luna per l’Europa».
Politica pragmatica, 61 anni, ex delfina della cancelliera tedesca Angela Merkel, ex ministra della Famiglia, del Lavoro e della Difesa, madre di sette figli, von der Leyen è stata indicata alla guida della Commissione dal Consiglio Ue senza tenere conto del Parlamento europeo, che aveva espresso i propri capilista. Uno sgarbo che ha rischiato di trasformarsi in una crisi istituzionale e che l’ha indebolita. L’appartenenza al
Ppe non era stata abbastanza per superare i mal di pancia degli eurodeputati di tutti gli schieramenti e così a luglio von der Leyen era stata nominata dall’Aula di Strasburgo con appena nove voti di scarto. Una maggioranza fragile che ha portato alla bocciatura di tre commissari prima di arrivare alla definizione definitiva della squadra: una Commissione bilanciata per genere (per la prima volta), geograficamente (riconoscendo un peso ai Paesi dell’Est) e politicamente (cercando di accontentare tutti i gruppi di Strasburgo – popolari, socialisti, liberali, verdi, sinistra e conservatori – eccetto i sovranisti).
Solidarietà tra Paesi
In questi mesi è emersa la dote di von der Leyen: la capacità di mediazione, essenziale per guidare un’Europa divisa, dove l’asse franco-tedesco si deve confrontare con altri protagonisti, come il gruppo di Visegrád e la nuova Lega Anseatica, e dove i populismi e gli interessi nazionali hanno innescato una spinta centripeta con un rafforzamento del metodo intergovernativo a scapito di quello comunitario. La sfida di von der Leyen è riuscire a imporre agli Stati membri gli interessi europei e a far emergere quella solidarietà tra Paesi che è stata alla base della nascita dell’Ue. In economia (creando ad esempio uno schema europeo di assicurazione dei depositi) come nell’affrontare il fenomeno migratorio. «Voglio che l’Unione europea superi le divisioni tra Est e Ovest, così come quelle economiche tra Nord e Sud», ha detto von der Leyen in un’intervista. Per la presidente «l’Europa può fare la differenza, e insieme gli Stati membri possono realizzare molto più di quanto non riescano da soli». Tra la fine del primo e l’inizio del secondo trimestre del 2020 la Commissione Ue vuole presentare un pacchetto onnicomprensivo per il superamento dell’attuale regolamento di Dublino, che riguarderà la protezione internazionale delle persone che ne hanno diritto e insieme punterà a perfezionare il controllo delle frontiere esterne, tenendo conto dei Paesi di origine e garantendo ritorni nel Paese di appartenenza dei migranti che non hanno diritto di trasferirsi in Europa e al tempo stesso organizzando canali di migrazione legale. Ma non sarà facile portare a casa la riforma, tanto più che in un ambito così delicato per von der Leyen la strada da perseguire resta quella dell’unanimità.
Molto dipenderà dal prossimo bilancio Ue per il periodo 2021-2027, il negoziato è in corso e la presidente ha messo in guardia gli Stati: serviranno investimenti ingenti per realizzare gli obiettivi sfidanti di tipo ambientale e tecnologico, così come di sicurezza, che l’Ue si è data. Von der Leyen sa che una partita importante riguarda anche la capacità europea di innovazione e di tenere testa a Stati Uniti e Cina. L’Ue in molti settori è in ritardo e deve recuperare terreno per mantenere la sua centralità negli equilibri mondiali. Nella lotta al cambiamento climatico, invece, l’Ue si sta ponendo come leader. Una scelta giusta che rischia però di mettere in tensione l’economia europea, perché dovrà fare i conti con i Paesi emergenti (ma anche con gli Usa), meno attenti all’ambiente. Von der Leyen ne è consapevole. Ma come un vero politico pensa anche alle generazioni future: «Il nostro obiettivo – ha detto – è riconciliare l’economia con il nostro pianeta».