I vandali della politica
Immediatamente dopo le religioni, gli edifici dei partiti, in particolare quelli storici, sono costruzioni culturali delicate la cui complessità strutturale suscita ammirazione e sorprende. Nella prassi politica i paralleli con le fedi religiose sono inesauribili. Il principio secondo il quale le dottrine servono a fissare le coordinate di massima, anche della politica, conferma questa tesi. Nelle recenti elezioni il Plrt ha subito una cocente sconfitta. Trovarsi, nel dibattito che ne è seguito, al cospetto di una proposta di sciogliere il partito, ha suscitato in me un profondo raccapriccio. Rimuovere non solo dalla coscienza ma anche dalla realtà l’oggetto che ha subito la disfatta ricorda il costume di una trascorsa civiltà contadina: la vacca che non dà più latte si sopprime. Neanche ha attenuato il mio orrore, la notizia che Banksy, l’artista-vandalo, è stato premiato con il Webby award per la sua creatività. Il maestro della street art ha detto di essere diventato un vandalo per fare del mondo «un posto più bello». Non so se lo scioglimento del Plrt può fare del mondo, o almeno della nostra minuscola Repubblica “un posto più bello”. Ciò dipende in maniera preponderante dalla genialità di chi ricostruisce sulle macerie. Nel 455 i Vandali, sbarcarono alle foci del Tevere, espugnando e saccheggiando ferocemente Roma. Da allora, il vocabolo “vandalo” si usa riferendosi a distruzioni, rovine, scempi o a danneggiamenti procurati a beni pubblici o privati. È indubbio che un partito sia un bene immateriale pubblico e come tale deve essere protetto. La sua difesa è motivata da ragioni sostanziali che non si limitano all’argomento abusato e ripetitivo secondo il quale i liberali e i radicali hanno fondato la Svizzera moderna. La nostra Costituzione, scritta in nome di Dio Onnipotente nel 1848, immediatamente dopo la guerra civile del Sonderbund, ha un preambolo che dovrebbe essere letto e rappresenta, anche nell’attualità, un manifesto per coinvolgere sia i liberali, sia i radicali, indipendentemente se credenti o non credenti. Non è necessario avere una fede religiosa per capire il significato di richiamare solennemente l’ambito del sacro in testa alla nostra carta fondamentale. Presumo si vuole evitare di confondere le leggi che regolano lo Stato con il vezzo odierno di trasformare la Confederazione in una bottega o in un mercato. E ciò malgrado che al mercato sia stata arbitrariamente attribuita una “mano invisibile” e all’economia una sorta di metafisica che i liberali del XVII e del XVIII secolo hanno sempre rifiutato. La dichiarazione o la proposta unilaterale di un singolo individuo di sciogliere un partito, fondato e attivo per garantire i valori sui quali ancora oggi i deputati alle due camere e i consiglieri federali giurano fedeltà, è qualcosa d’imbarazzante. Il fatto che i ticinesi, per ben due volte, nella storia hanno bocciato con maggioranze bulgare la carta fondamentale non può farci onore ma almeno indurci a riflettere, con l’umiltà che esclude l’arroganza, su un gesto politico sconsiderato e distruttivo.