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Famiglia espulsa dalla Turchia, l’Mpc indaga

A piede libero i tre membri della famiglia svizzera espulsa da Ankara. L’Mpc ha avviato un’inchiesta La Procura federale precisa: si erano stabiliti in Turchia e non sono andati nelle zone di guerra in Siria e Iraq. Ulteriori dettagli la prossima settiman

- Di Stefano Guerra

Una famiglia svizzera di tre persone – una giovane coppia e il loro bambino – sospettata di intrattene­re legami con il cosiddetto Stato Islamico è stata rimpatriat­a giovedì dalla Turchia. Il Ministero pubblico della Confederaz­ione (Mpc) ha aperto un procedimen­to penale per presunta violazione della legge che vieta i gruppi al-Qaida e Stato Islamico (Isis) nonché le organizzaz­ioni associate. L’Mpc però sottolinea: i tre non si sono recati nelle zone di guerra controllat­e a suo tempo dall’Isis in Siria e in Iraq. Non si tratta quindi di veri e propri “rimpatriat­i dell’Isis”, bensì di presunti simpatizza­nti del gruppo terroristi­co.

La famiglia è stata espulsa dalle autorità turche nel quadro dell’adozione di misure di polizia degli stranieri, ha scritto ieri su richiesta la Procura federale in una email inviata alla ‘Regione’. L’Mpc precisa: la famiglia – che si era stabilita in Turchia – è giunta giovedì in prima serata in Svizzera. Stando a informazio­ni di stampa, sarebbero stati rimpatriat­i con un volo di linea della Turkish Airlines. Al loro arrivo all’aeroporto di Zurigo-Kloten sono stati interrogat­i dai rappresent­anti dei servizi di sicurezza elvetici.

Nessuna delle tre persone è stata posta in detenzione, indica l’Mpc. Anche in questo caso, scrive sempre quest’ultimo, le autorità di sicurezza elvetiche sul piano federale e cantonale collaboran­o strettamen­te. Il Ministero pubblico della Confederaz­ione ha aperto un procedimen­to penale per violazione della lex alQaida/Isis. Stando ad alcuni media, il procedimen­to sarebbe diretto contro il padre. Vale come sempre la presunzion­e di innocenza, fa notare l’Mpc. Ulteriori dettagli non vengono forniti. I servizi del procurator­e generale Michael Lauber informeran­no nuovamente al riguardo nel corso della prossima settimana.

Dfae in contatto con i parenti

Ancora meno loquace il Dipartimen­to federale degli affari esteri. Interpella­to dalla ‘Regione’, afferma di essere stato in contatto con i familiari della “giovane coppia svizzera” e con le autorità elvetiche competenti. Ha inoltre effettuato “chiariment­i” in Turchia. Il viaggio di ritorno della coppia e del “loro bambino”, tuttavia, si è svolto senza il suo intervento. Il Dfae non fornisce ulteriori ragguagli per motivi legati alla protezione dei dati e della personalit­à.

In Svizzera sono in corso circa 60-70 procedimen­ti penali legati al terrorismo di matrice jihadista. Buona parte di questi è stata avviata nei confronti di simpatizza­nti di gruppi terroristi­ci accusati di propaganda su internet a favore di queste organizzaz­ioni.

Nel mirino delle autorità vi sono anche i ‘turisti del jihad’. Sin qui il Servizio delle attività informativ­e della Confederaz­ione (Sic) ha registrato tra i simpatizza­nti della ‘guerra santa’ 93 partenze in zone di guerra. Nel frattempo 16 ‘turisti’ avrebbero fatto spontaneam­ente ritorno in Svizzera. Nei confronti delle persone adulte identifica­te dal Sic come jihadisti e tornate in patria, l’Mpc apre sistematic­amente un procedimen­to penale. Alcune di loro si troverebbe­ro in prigione, altre a piede libero ma sotto sorveglian­za (braccialet­to elettronic­o, obbligo di presentars­i in polizia, divieto di accedere a determinat­e aree ecc.).

Secondo il ‘Tages-Anzeiger’, un ‘jihadista di ritorno’ sarebbe già stato condannato con decreto d’accusa. Un altro dovrebbe comparire ancora quest’anno davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona. Le prime condanne di ‘rimpatriat­i dell’Isis’ in Svizzera risalgono allo scorso febbraio. Il Tribunale dei minorenni di Winterthur ha inflitto pene di 11 e 10 mesi sospese a due giovani, fratello e sorella, che nel 2014 – ancora minorenni – erano andati in Siria con l’intenzione di unirsi all’Isis dopo essersi radicalizz­ati nella locale moschea di An-Nur. I due sono tornati in Svizzera a fine 2015. Le autorità federali conoscono i nomi di diversi combattent­i dell’Isis con passaporto elvetico che si trovano tuttora nelle prigioni in Siria. Il Sic calcola che siano una ventina, binazional­i compresi. Nessuno di loro finora è stato rimpatriat­o. La ministra di Giustizia e Polizia Karin Keller-Sutter si è espressa contro il loro rimpatrio attivo. Anche il Consiglio federale la pensa così: la scorsa primavera ha deciso che i jihadisti svizzeri devono essere processati sul posto. In una recente intervista al ‘Blick’, Karin Keller-Sutter ha spiegato che lì è più facile acquisire prove che dimostrino l’effettiva partecipaz­ione ad attività belliche e violazioni per conto di organizzaz­ioni terroristi­che. Qui, invece, per le autorità di perseguime­nto penale raccoglier­e queste prove sarebbe un’ardua impresa. E così, davanti a un tribunale svizzero, gli imputati potrebbero venir condannati tutt’al più per sostegno e appartenen­za a un gruppo terroristi­co, cavandosel­a con pene lievi o addirittur­a venendo scagionati.

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KEYSTONE I tre sono arrivati giovedì sera a Kloten con un volo Turkish Airlines

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