Famiglia espulsa dalla Turchia, l’Mpc indaga
A piede libero i tre membri della famiglia svizzera espulsa da Ankara. L’Mpc ha avviato un’inchiesta La Procura federale precisa: si erano stabiliti in Turchia e non sono andati nelle zone di guerra in Siria e Iraq. Ulteriori dettagli la prossima settiman
Una famiglia svizzera di tre persone – una giovane coppia e il loro bambino – sospettata di intrattenere legami con il cosiddetto Stato Islamico è stata rimpatriata giovedì dalla Turchia. Il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) ha aperto un procedimento penale per presunta violazione della legge che vieta i gruppi al-Qaida e Stato Islamico (Isis) nonché le organizzazioni associate. L’Mpc però sottolinea: i tre non si sono recati nelle zone di guerra controllate a suo tempo dall’Isis in Siria e in Iraq. Non si tratta quindi di veri e propri “rimpatriati dell’Isis”, bensì di presunti simpatizzanti del gruppo terroristico.
La famiglia è stata espulsa dalle autorità turche nel quadro dell’adozione di misure di polizia degli stranieri, ha scritto ieri su richiesta la Procura federale in una email inviata alla ‘Regione’. L’Mpc precisa: la famiglia – che si era stabilita in Turchia – è giunta giovedì in prima serata in Svizzera. Stando a informazioni di stampa, sarebbero stati rimpatriati con un volo di linea della Turkish Airlines. Al loro arrivo all’aeroporto di Zurigo-Kloten sono stati interrogati dai rappresentanti dei servizi di sicurezza elvetici.
Nessuna delle tre persone è stata posta in detenzione, indica l’Mpc. Anche in questo caso, scrive sempre quest’ultimo, le autorità di sicurezza elvetiche sul piano federale e cantonale collaborano strettamente. Il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto un procedimento penale per violazione della lex alQaida/Isis. Stando ad alcuni media, il procedimento sarebbe diretto contro il padre. Vale come sempre la presunzione di innocenza, fa notare l’Mpc. Ulteriori dettagli non vengono forniti. I servizi del procuratore generale Michael Lauber informeranno nuovamente al riguardo nel corso della prossima settimana.
Dfae in contatto con i parenti
Ancora meno loquace il Dipartimento federale degli affari esteri. Interpellato dalla ‘Regione’, afferma di essere stato in contatto con i familiari della “giovane coppia svizzera” e con le autorità elvetiche competenti. Ha inoltre effettuato “chiarimenti” in Turchia. Il viaggio di ritorno della coppia e del “loro bambino”, tuttavia, si è svolto senza il suo intervento. Il Dfae non fornisce ulteriori ragguagli per motivi legati alla protezione dei dati e della personalità.
In Svizzera sono in corso circa 60-70 procedimenti penali legati al terrorismo di matrice jihadista. Buona parte di questi è stata avviata nei confronti di simpatizzanti di gruppi terroristici accusati di propaganda su internet a favore di queste organizzazioni.
Nel mirino delle autorità vi sono anche i ‘turisti del jihad’. Sin qui il Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic) ha registrato tra i simpatizzanti della ‘guerra santa’ 93 partenze in zone di guerra. Nel frattempo 16 ‘turisti’ avrebbero fatto spontaneamente ritorno in Svizzera. Nei confronti delle persone adulte identificate dal Sic come jihadisti e tornate in patria, l’Mpc apre sistematicamente un procedimento penale. Alcune di loro si troverebbero in prigione, altre a piede libero ma sotto sorveglianza (braccialetto elettronico, obbligo di presentarsi in polizia, divieto di accedere a determinate aree ecc.).
Secondo il ‘Tages-Anzeiger’, un ‘jihadista di ritorno’ sarebbe già stato condannato con decreto d’accusa. Un altro dovrebbe comparire ancora quest’anno davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona. Le prime condanne di ‘rimpatriati dell’Isis’ in Svizzera risalgono allo scorso febbraio. Il Tribunale dei minorenni di Winterthur ha inflitto pene di 11 e 10 mesi sospese a due giovani, fratello e sorella, che nel 2014 – ancora minorenni – erano andati in Siria con l’intenzione di unirsi all’Isis dopo essersi radicalizzati nella locale moschea di An-Nur. I due sono tornati in Svizzera a fine 2015. Le autorità federali conoscono i nomi di diversi combattenti dell’Isis con passaporto elvetico che si trovano tuttora nelle prigioni in Siria. Il Sic calcola che siano una ventina, binazionali compresi. Nessuno di loro finora è stato rimpatriato. La ministra di Giustizia e Polizia Karin Keller-Sutter si è espressa contro il loro rimpatrio attivo. Anche il Consiglio federale la pensa così: la scorsa primavera ha deciso che i jihadisti svizzeri devono essere processati sul posto. In una recente intervista al ‘Blick’, Karin Keller-Sutter ha spiegato che lì è più facile acquisire prove che dimostrino l’effettiva partecipazione ad attività belliche e violazioni per conto di organizzazioni terroristiche. Qui, invece, per le autorità di perseguimento penale raccogliere queste prove sarebbe un’ardua impresa. E così, davanti a un tribunale svizzero, gli imputati potrebbero venir condannati tutt’al più per sostegno e appartenenza a un gruppo terroristico, cavandosela con pene lievi o addirittura venendo scagionati.