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Principio d’incendio

- Ansa/e.f.

L’uccisione di Qassam Soleimani a Baghdad, ordinata da Donald Trump, porta il confronto tra Stati Uniti e Iran a una gravità senza precedenti. Se Washington sostiene che si è trattato di un atto di autodifesa, Teheran lo considera una dichiarazi­one di guerra e assicura vendetta. Il Pentagono ha già disposto l’invio di rinforzi nella regione.

Washington/Teheran – Un drone MQ-9 Reaper non è certo la pistola di Gavrilo Princip, né Qassam Soleimani era un principe Ferdinando, come Baghdad non è Sarajevo. Ma nessuno dubita che l’uccisione con un missile del capo delle forze speciali delle Guardie rivoluzion­arie iraniane – i pasdaran della Qud Force – nella capitale irachena è destinato a scatenare un guerra della quale solo il formato e la portata sono ancora in forse. Non lo sono le conseguenz­e sull’intero Medio Oriente e il resto del mondo. Soleimani era l’uomo più rispettato a Teheran dopo l’ayatollah Ali Khamenei, lo stratega che per vent’anni ha guidato tutte le operazioni militari e di intelligen­ce della Repubblica Islamica. In patria un leader e un eroe di guerra, per gli Usa un terrorista, responsabi­le dell’uccisione di “centinaia di americani” e pronto a sferrare nuovi attacchi. Da ieri, un “martire” della cui figura il regime iraniano si servirà per alimentare la propaganda nazionalis­ta.

Con Soleimani sono morti diversi uomini dei gruppi filo-iraniani attivi in Iraq, compreso Abu Mahdi al-Muhandis, il numero due delle Forze di mobilitazi­one Popolare, la coalizione di milizie sciite che ha organizzat­o l’assedio dei giorni scorsi all’ambasciata Usa di Baghdad. Il generale iraniano si muoveva allo scoperto, probabilme­nte si riteneva al sicuro.

A ordinare l’attacco, ha spiegato il Pentagono, è stato il presidente Donald Trump in persona, dalla residenza di Mar-aLago, in Florida. Una decisione clamorosa, destinata a innescare un’escalation potenzialm­ente incontroll­abile. Sebbene “preparato” da mesi di confronto militare indiretto e di reciproche provocazio­ni – ultima l’assalto all’ambasciata di Baghdad – è parso sorprender­e tutti gli osservator­i. E si è trattato in ogni caso dell’operazione statuniten­se più “pesante” in Medio Oriente dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003.

Perché Trump lo ha fatto? Qualcuno ha ricordato che Bill Clinton fece lo stesso il 16 dicembre 1998, ordinando i raid contro il regime di Saddam Hussein a tre giorni dal processo di impeachmen­t nei suoi confronti. Mentre Trump, tra il 2011 e il 2012, con una serie di tweet accusò Barack Obama di cercare la guerra con Teheran per essere rieletto.

E se il segretario alla difesa americano Mark Esper e il segretario di stato Mike Pompeo hanno parlato di atto di “autodifesa”, Teheran ha inteso l’uccisione di Soleimani un vero e proprio atto di guerra. La Guida suprema Khamenei, ha assicurato che l’Iran si vendicherà, e si è rivolto direttamen­te a Trump, invitandol­o a “preparare le bare”.

Nessuno sa quando e dove arriverà la risposta dell’Iran: “Avverrà nel momento e nel posto giusti”, ha detto lo stesso Khamenei, e di fronte a un azione così clamorosa anche il presidente e il ministro degli Esteri iraniani, Hassan Rohani e Javad Zarif – promotori con Barack Obama dello storico accordo sul nucleare – hanno “dovuto” abbandonar­e i consueti toni moderati. Prontament­e, migliaia di cittadini – un po’ spontaneam­ente, un po’ per zelo – sono scesi in strada a Teheran a manifestar­e contro il Grande Satana yankee.

Il Dipartimen­to di stato Usa ha già ordinato l’evacuazion­e dei cittadini americani presenti in Iraq, ormai ritenuti in pericolo, mentre dal Pentagono è stato fatto sapere che altri 3’500 soldati stanno per essere rinviati in Medio Oriente, tra Iraq e Kuwait.

Una decisione che rovescia la linea del disimpegno finora propaganda­ta da Trump. Il quale, di fonte alle minacce di Teheran, ha twittato: “L’Iran non ha mai vinto una guerra, ma non ha mai perso un negoziato!”, con un chiaro riferiment­o all’accordo sul nucleare. La preoccupaz­ione nelle capitali mondiali è naturalmen­te altissima, così come sui mercati finanziari, col prezzo del petrolio ai massimi livelli da mesi e le Borse, dall’Europa a Wall Street, in calo. Pompeo ha dovuto compiere un giro di telefonate tra le principali capitali per spiegare la ratio della decisione di Trump e per assicurare che gli Usa sono comunque per una de-escalation. Va da sé che nessuno gli ha creduto.

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KEYSTONE Baghdad, i resti dell’auto su cui viaggiava Soleimani

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