Cinepanettone indigesto
‘Tolo Tolo’ di Checco Zalone attira spettatori in sala e polemiche sui social media
Il comico pugliese diventa, a turno, uno che si fa beffe della sofferenza umana, un buonista, un coraggioso meritevole di essere senatore a vita
Diciamolo subito, prima che esploda l’ira dei fan di Checco Zalone: il “cinepanettone” scritto qui sopra in corpo 57 non vuol essere un termine spregiativo, ma la semplice descrizione di un fenomeno più sociale che cinematografico. Il cinepanettone è quel film comico che, appunto sotto Natale, porta al cinema gente che di solito non ci va mai. Ed è indubbio che ‘Tolo Tolo’ di Checco Zalone – attore protagonista e anche regista e cosceneggiatore, seppur con il vero nome di Luca Medici – rientra nella categoria, dal momento che i numeri parlano di cifre da record: nelle prime 24 ore di programmazione il film ha incassato 8,7 milioni di euro, segnando un nuovo record per quanto riguarda il cinema italiano – ma del resto era suo anche il record precedente, 7,3 milioni con ‘Quo Vado’ nel 2016.
Il successo di pubblico, per ora, c’è: quello di critica un po’ meno. Ma – altro avvertimento per i succitati fan irati del comico pugliese – qui non si parla della qualità artistica del film: ne abbiamo già scritto. Piuttosto, si farà una critica della critica politica al film. Perché
Checco Zalone si è cimentato con un tema delicato: quello dei migranti. E con “tema delicato” intendiamo un argomento sul quale o si è a favore o si è contro – e non c’è né tempo né spazio per chiedersi cosa voglia dire essere a favore o contro l’immigrazione – e gli altri sono dei razzisti/buonisti che non capiscono niente. Insomma, Checco Zalone si è messo a ballare in un campo minato del dibattito pubblico – italiano ma non solo –; e non ci interessa qui se sia riuscito a evitare tutti gli ordigni esplosivi, ma le reazioni di chi ha assistito alla performance.
Iniziata peraltro ben prima dell’uscita del film, con il trailer-video musicale ‘Immigrato’ che infiocchettando luoghi comuni “di destra” ha sollevato alcune perplessità “da sinistra”. C’è chi non ha colto l’ironia del testo; chi invece l’ha colta ma l’ha trovata poco convincente. Dall’altra parte c’è chi ha deciso di portare a un nuovo livello il motto “il nemico del mio nemico è mio amico” – o semplicemente cercando visibilità parlando del tema caldo del momento –, proponendo (ironicamente?) Checco Zalone quale senatore a vita.
E adesso che il film, con un messaggio sostanziale “a favore” degli immigrati, è uscito nelle sale? Beati quelli che son andati in sala a vedere semplicemente un film comico, perché in molti pare siano andati a vedere il film più politico della storia del cinema dopo ‘La corazzata Potëmkin’ di Ejzenštejn. Riassumendo una situazione ingarbugliata; “a sinistra” c’è chi loda il coraggio di Checco Zalone ma anche chi critica la sua superficialità nell’affrontare la sofferenza umana; “a destra” perlopiù lo si accusa di propaganda buonista, di inviare messaggi sbagliati come l’idea che si nasca per caso in un posto anziché in un altro.
Ora, a stupire non è tanto che un film, anche se una semplice commedia natalizia, dia il via a discussioni e polemiche: è anzi la rincuorante dimostrazione che il cinema non è solo intrattenimento ma anche arte. A lasciare a bocca aperta è la pochezza di un dibattito basato più sull’attacco e sull’insulso che sul dissenso argomentato. Alla fine, difficile dare torto al produttore Pietro Valsecchi che, interpellato dall’Ansa sulle polemiche, ha risposto: “Lasciano il tempo che trovano. I social sono un megafono, ma decidiamo noi a chi rispondere e con chi litigare e abbiamo deciso con nessuno”.