Osi in Auditorio, la Sonata a Kreutzer
“Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”: così termina uno dei dodici sonetti di Ugo Foscolo che porta la stessa data, 1802-1803, della Sonata a Kreutzer, la più famosa fra le dieci Sonate per pianoforte e violino di Ludwig van Beethoven, con i due tempi estremi veri duelli corpo a corpo dei due strumenti, segnati da raffiche di note aspre, da contrasti melodici allora improponibili. Sul programma di sala il pubblico ha trovato una spiegazione completa di Nicola Cattò sulla genesi e l’apparizione in pubblico della Sonata, che alla fine fu intitolata al violinista Rodolphe Kreutzer, il quale non la affrontò mai, considerandola un’assurdità musicale. Si può pensare questa poesia di Foscolo e questa musica di Beethoven, un annuncio dell’Ottocento, che supera la razionalità dell’illuminismo con nuovi sentimenti di eroismo. Il concerto di giovedì era sold out e s’è dovuto fare una coda paziente anche per entrare in sala: il piacere di ritrovare l’Auditorio Stelio Molo, la convinzione che ogni concerto dell’Osi sia ormai un appuntamento imperdibile, il prestigio del violinista Renaud Capuçon per la prima volta nel doppio ruolo di solista e direttore? Ma la Sonata a Kreutzer è stata presentata in una trascrizione per violino e orchestra d’archi del compositore australiano Richard Tognetti (classe 1965), che mi sembra conculchi le peculiarità dell’opera descritte sopra ed è un grosso impegno per l’orchestra soprattutto nell’Andante centrale. L’Orchestra della Svizzera italiana ha schierato 25 archi, impeccabili, ma un elogio particolare va alle prime parti, impegnatissime in continui interventi solistici. Tutti i compositori, anche i più famosi, hanno qualche punto debole nella loro produzione. Beethoven ha due Romanze
per violino e orchestra, alle quali è stato purtroppo anche dato un numero d’opera. Forse sono state inserite nel programma di giovedì per lasciare una settimana di vacanza a clarinetti, trombe e timpani, non presenti nelle partiture degli altri due brani in programma. Comunque hanno permesso di gustare il suono magnifico del violino solista. Salvando il dovuto rispetto a Capuçon, ricordo che giovedì imbracciava quel Guarneri del Gesù, col quale 66 anni fa Isaac Stern incantò, col Concerto di Mendelssohn, il pubblico del Teatro Kursaal di Lugano. L’esecuzione della Quinta Sinfonia di
Franz Schubert ha sofferto alquanto del divario fra orchestra e direttore. Capuçon si è limitato a un’onesta lettura, l’Osi, che ha questa sinfonia nel suo repertorio, direi quasi nel suo codice genetico, l’ha arricchita ciononostante di appropriate sfumature dinamiche, di qualche scelta agogica. Ne è risultata un’interpretazione pregevole. Renaud Capuçon deve avere il bis facile. Ha ripetuto il Presto finale della Sonata a Kreutzer, e poteva essere un omaggio all’orchestra, ma ha ripetuto anche il Minuetto della Sinfonia, e mi è sembrata una noia per esecutori e ascoltatori.