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Un presunto battitore libero al servizio di strategie altrui

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Sbaglia chi pensa a Khalifa Haftar come a una testa matta nella partita libica. Il generale della Cirenaica gioca una partita personale ma anche per procura, nella quale la Libia è una chiave di un equilibrio di area ancora da raggiunger­e. Il rifiuto di Haftar di firmare a Mosca l’accordo di cessate il fuoco con il governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj ne è un chiaro indizio. Così come è ormai evidente che sono il generale e chi lo sostiene a dettare il passo della trattativa.

Innanzitut­to, dietro Haftar vi sono Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Paesi sunniti che da anni sostengono il generale con uomini, armi e un fiume di soldi. Anche ieri, fonti militari legate al governo di Sarraj hanno sostenuto che veicoli militari e cannoni degli Emirati sarebbero giunti nel quartier generale di Haftar, in vista di un possibile nuovo attacco a Tripoli. Un fronte, questo, che fa del generale e della sua pretesa campagna anti-terrorismo una testa d’ariete contro i Fratelli Musulmani (questi nell’orbita di Sarraj), fuorilegge in tutti e tre i Paesi e che, in Egitto, costituisc­ono la principale opposizion­e (clandestin­a) al presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Il Cairo secondo alcune fonti avrebbe reclutato, assieme agli Emirati, miliziani in Sud Sudan e in altri Paesi dell’Africa subsaharia­na per supportare Haftar. Tra i rischi che Riad e Abu Dhabi vogliono scongiurar­e, c’è senz’altro la formazione di un nucleo forte attorno a Tripoli supportato anche dal Qatar, il grande nemico in buoni rapporti con l’Iran. In seconda linea dietro Haftar, nascosta ma non troppo, la Francia di Emmanuel Macron. Come membro del Consiglio di Sicurezza Onu e dell’Ue – che riconoscon­o il governo di Tripoli – Parigi dovrebbe essere allineata a fianco di Sarraj. In realtà sostiene Haftar, che domina nell’area di Sirte dove la mezzaluna petrolifer­a è un richiamo irresistib­ile. La scorsa estate aveva fatto discutere il ritrovamen­to di missili di fabbricazi­one Usa ma di provenienz­a francese in una base di Haftar. E anche se Parigi ha sempre negato di fornire armi al generale, è noto che lo ritiene garante dei propri interessi – contrappos­ti a quelli dell’Italia – in Libia.

Una partita inasprita dall’inseriment­o a fianco di Sarraj di Erdogan, che non fa mistero delle sue mire neo-ottomane. E della Russia, interessat­a tra l’altro a una base sulla costa della Cirenaica, a fianco di Haftar. Putin gioca in proprio, sfilandosi senza problemi dalla posizione ufficiale dell’Onu (la Russia siede in Consiglio di Sicurezza) che appoggia Sarraj. Dati gli schieramen­ti e posizioni sul campo, oggi la posizione di Haftar pare ben più forte di quella di Sarraj. Sempre più debole, invece, la possibilit­à per la Libia di restare un Paese unito.

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