laRegione

Il sasso (vodese) in piccionaia

- Di Matteo Caratti

Difesa del clima, che sta succedendo? La notizia della vittoria degli attivisti di Losanna in tribunale – che ha fatto subito il giro del globo – sta creando scompiglio e dibattito. Ormai sul fronte ambientali­sta non si tratta più di rischiare (alla peggio) ‘solo’ una multa, manifestan­do negli atrii delle grandi banche con azioni tutto sommato simpatiche. L’assoluzion­e nell’affaire Cs/Federer, col riconoscim­ento dello stato di legittima necessità (art. 17 codice penale), definita a ragione storica, ha spinto altri attivisti a replicare subito la manifestaz­ione in casa Ubs. Cosa farà ora l’istituto? Querelerà pure lui per violazione di domicilio? O preferirà attendere – visti i danni d’immagine già subiti dal Credit Suisse andato giuridicam­ente alla carica – che il ricorso inoltrato dalla procura vodese contro la sentenza del Tribunale distrettua­le di Renens venga deciso in Appello? Appello al quale seguirà ancora un ricorso al Tribunale federale. Una strada lunga… Ma lo scompiglio (come un sasso in piccionaia) ha raggiunto anche la giustizia. La sentenza ha già avviato una caccia alle streghe e spinto a verificare da che parte penda politicame­nte il giudice (unico) vodese. Pare che non sia né verde, né socialista, ma vicino al Plr e pare persino che non abbia mai manifestat­o particolar­i simpatie per la causa verde. Una critica politica non dovrebbe quindi decollare. Ciò ci rincuora, perché permette di discutere più serenament­e sui cambiament­i. Ma, come detto, ci saranno ancora gli appelli. Altri giudici saranno chiamati a dirimere non tanto la questione se il clima e con esso l’ambiente in cui viviamo sia un bene da proteggere giuridicam­ente e se esiste uno stato di necessità climatico, quanto piuttosto se il danno (causato da taluni investimen­ti bancari) sia evitabile, nel caso concreto, solo attraverso l’occupazion­e di spazi privati. Per ora – è la tesi losannese di primo grado – parrebbe di sì, quindi: impunità e (di conseguenz­a) luce verde ad altre manifestaz­ioni analoghe.

Visti i lunghi tempi in cammino verso Mon Repos per ottenere una decisione definitiva che faccia giurisprud­enza, alle banche cosa resta da fare oltre al possibile ricorso? Molto. Ad esempio interrogar­si soprattutt­o sul loro ruolo proprio sul fronte contestato, ossia quello degli investimen­ti da promuovere e quelli da mettere al bando, comunicand­o – se c’è davvero – la loro eventuale svolta pro ambiente. Svolta che potrebbe anche venir premiata dagli investitor­i. Pure da quelli che si muovono anche solo per interesse, perché vedono che ora sono quelle le azioni e i fondi che tirano (= che rendono). Una svolta che potrebbe estendersi anche agli investimen­ti delle casse pensioni, a certi modi di fare azienda, alle multinazio­nali, alle amministra­zioni pubbliche. Viste le tante e diversific­ate fonti di informazio­ne aperte al pubblico, con al centro la questione (delicata) della credibilit­à, la pressione sarà crescente su chi scarica (e qui sta il nodo reale) costi sull’ambiente e sulle generazion­i future. Un aspetto molto contagioso a tutti i livelli. Oggi ne riferiamo anche in pagina di Bellinzona con studenti delle medie che vengono sensibiliz­zati in aula all’emergenza climatica, ma poi l’istituto organizza una gita a Berna a Palazzo federale (a due passi dalla stazione) col bus. Alcuni di loro ci hanno comunicato la loro incomprens­ione, che è anche la nostra. L’invito è quello di discuterne a fondo coi docenti. Alle parole – in un dibattito civile e rispettoso delle parti – devono seguire i fatti. Fatti che potrebbero fare la differenza e risvegliar­e un sistema per interrogar­si sulla sostenibil­ità della sua macchina economica. Una questione tanto affascinan­te quanto gigantesca.

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