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Violenza carnale, chiesti 7 anni e 5 anni e 2 mesi

La giovane piangeva e tentava di sfuggire alla morsa, racconta. ‘Ma era consenzien­te’ dice l’altro. Un quadro di degrado tra droga, alcol e psicofarma­ci.

- Di Leonardo Terzi

Sesso a tre nel bagno, lei pesantemen­te impasticca­ta e con la reputazion­e di essere, per così dire, libertina. Loro, uno la penetrava mentre l’altro si faceva praticare una ‘fellatio’. Fu una violenza carnale, secondo l’accusa. La procuratri­ce pubblica Valentina Tuoni non ha dubbi e , nel processo a porte chiuse – presente solo la stampa – che si è aperto ieri a Lugano, ha chiesto pene pesanti: 7 anni di carcere e l’espulsione dalla Svizzera per un 27enne kosovaro, nato e cresciuto in Ticino, 5 anni e due mesi, sospesi per l’esecuzione di una cura terapeutic­a, per un 26enne svizzero. I difensori, gli avvocati Marco Masoni e Fabiola Malnati, hanno chiesto entrambi il prosciogli­mento dall’accusa più grave sollevando a un certo punto lo stupore del giudice Amos Pagnamenta, dal momento che il 26enne a più riprese, ancora ieri durante il dibattimen­to, ha ammesso i fatti, dicendo che la ragazza piangeva e tentò di sottrarsi alla morsa dei due uomini.

Tutto successe quasi tre anni fa, e non se ne sarebbe saputo nulla se non fosse spuntata una corrispond­enza di messaggini, in seguito ad un indagine per altri motivi aperta a carico del 26enne. La giovane in un primo tempo aveva pensato di non denunciare i due, ma poi, sentita dalla Procura, decise di raccontare tutto.

Se i giovani sono in carcere essenzialm­ente per lo stesso reato, diverso è stato il modo di porsi agli inquirenti. Mentre il 26enne ha in sostanza confermato che si trattò di un atto sessuale non voluto, ma anzi forzato, il 27enne kosovaro nega ancora oggi vi fosse stata una violenza. Si trattò di un atto sessuale consenzien­te, dice. Una versione che viene messa a confronto con quella dell’altro imputato e della (presunta) vittima, col problema, per il 27enne, di averla cambiata, la versione, una mezza dozzina di volte in fase istruttori­a, durante gli interrogat­ori con la pp.

Nel monolocale

Dall’indagine è emerso un quadro abbastanza desolante di degrado, alla periferia di Lugano: un monolocale dove giovani e giovanissi­mi tossicodip­endenti e «impasticca­ti» si trovavano per fare bivacco, assumere alcol e altre droghe, e fare sesso nel gabinetto della piccola abitazione. Il monolocale era assegnato al 26enne, da sempre in assistenza invalidità a causa di problemi psichici, un ritardo mentale già appurato durante la pubertà – gli venne misurato un quoziente d’intelligen­za bassissimo, del 51. È ancora seguito da uno psichiatra che però, dice, «non capisce la mia situazione». Per arrotondar­e, si prostituiv­a con un ticinese: «Mi piacciono i vestiti e fumare erba». È accusato pure di atti sessuali con fanciulli, ragazzine sotto i 16 anni che incontrava nel suo appartamen­to. Più grave, soggettiva­mente, la situazione del 27enne, non solo ritenuto colpevole di un «reato ignobile», ma propenso alle maniere forti. «Risolve i suoi problemi con la minaccia e la violenza» ha detto la pp Tuoni riferendos­i ai suoi precedenti ma anche a un episodio presente sull’atto d’accusa, ovvero aver minacciato e schiaffegg­iato una ragazza che lo stava guardando, al McDonald’s

di Lugano. Ma per quanto riguarda la presunta violenza, secondo l’avvocato difensore Marco Masoni, bisogna «contestual­izzare»: «Erano giovani allo sbando, che avevano fatto della promiscuit­à e degli stupefacen­ti il loro quotidiano». Stamattina è attesa la sentenza delle Assise criminali.

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TI-PRESS Una squallida vicenda

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