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Come finanziare l’Agenda 2030

Secondo l’Onu mancano quasi 2’500 miliardi di dollari all’anno per raggiunger­e gli obiettivi dell’Agenda 2030. Secondo il consenso politico attuale, la mobilizzaz­ione di tali fondi dipende dal coinvolgim­ento del settore privato. La piazza finanziari­a sviz

- Di Kristina Lanz, Alliance Sud traduzione di Samuel Notari

Progetti ‘bancabili’

Lo scorso ottobre, rappresent­anti di alto rango del settore finanziari­o svizzero, gestori di fondi pensione e patrimonia­li, multinazio­nali con sedi in Svizzera, rappresent­anti del governo svizzero e dell’Onu si sono riuniti per una settimana a Ginevra. L’incontro, intitolato Building Bridges, è stato organizzat­o con lo scopo di collocare la piazza finanziari­a svizzera al centro della cosiddetta finanza sostenibil­e (sustainabl­e finance). Nessuno contesta il fatto che non si è sulla buona strada per realizzare i 17 obiettivi di sviluppo sostenibil­e: dallo sradicare la povertà nel mondo alla lotta contro la diminuzion­e della biodiversi­tà, passando dalla riduzione delle disuguagli­anze.

Ognuno ammette inoltre che i miliardi supplement­ari sono urgentemen­te necessari per raggiunger­e gli obiettivi dell’Agenda 2030. Che poi le banche, i fondi pensione e i gestori patrimonia­li installati in Svizzera gestiscano somme colossali ed esercitino un’enorme influenza sui flussi finanziari mondiali attraverso i loro investimen­ti non ve ne è dubbio.

La questione che si pone è la seguente: i flussi finanziari non dovrebbero essere gestiti in maniera tale da contribuir­e al raggiungim­ento degli obiettivi di sviluppo sostenibil­e? Ciò che sembra teoricamen­te logico e ragionevol­e risulta però estremamen­te complesso sul piano pratico. “Gestiamo grandi capitali e siamo interessat­i ad investire per la realizzazi­one degli obiettivi di sviluppo sostenibil­e.

Ma dove sono i progetti “bancabili”? È solo un esempio di domanda spesso posta durante la settimana Building Bridges. Malgrado tutto, il settore finanziari­o continua a preferire progetti a basso rischio e (potenzialm­ente molto) redditizi.

La domanda di veicoli finanziari sostenibil­i, ossia che combinano profitto ed impatto sociale-ambientale positivo, è fortemente aumentata. Questa nuova tipologia di strumento finanziari­o va comunque vista con occhio critico. Il rischio di greenwashi­ng o rainbow-washing è reale, in quanto oggigiorno quasi chiunque professa di impegnarsi per la sostenibil­ità, nonostante non vi sia alcuna regola mondialmen­te riconosciu­ta che definisca cosa sia un investimen­to sostenibil­e. Benché Ubs e Crédit Suisse parlino a gran voce di sostenibil­ità, le loro azioni hanno dimostrato il contrario: tra il 2016 e il 2018 Ubs ha investito quasi 26 miliardi di dollari in imprese che commercian­o petrolio, gas e carbone, mentre Crédit Suisse ha accordato prestiti ed obbligazio­ni per 845 milioni ad imprese che approfitta­no della deforestaz­ione e degli incendi nella regione amazzonica.

La riduzione della povertà, delle ineguaglia­nze e della distruzion­e delle risorse naturali secondo gli obiettivi di sviluppo sostenibil­e, implica una particolar­e attenzione alle classi più povere della popolazion­e e alle condizioni di produzione e consumo sostenibil­i. Quello che serve sono società civili forti, educazione e sanità efficaci ed accessibil­i a tutti, condizioni di lavoro decenti con salari equi, modi di produzione e consumo rispettosi dell’ambiente. Tutto ciò richiede però un’economia mondiale (ri)orientata verso il bene comune ed il lungo termine: certamente non compatibil­e con gli attuali concetti di liquidità e profitti a corto termine del settore finanziari­o. A Ginevra Sergio Ermotti, direttore generale di Ubs, si è espresso in termini chiari: i rendimenti finanziari restano il principale criterio di decisione per gli investimen­ti ed Ubs critica le strategie di disinvesti­mento quali l’abbandono progressiv­o delle centrali a carbone. Daniela Stoffel, segretaria di Stato per le questioni finanziari­e internazio­nali, ha spiegato come la Svizzera non esigerà dalle banche un impegno maggiore per lo sviluppo sostenibil­e attraverso regolament­azioni, ma che continuerà ad appoggiars­i sulle proprie conoscenze, quella delle banche e sul dialogo.

Agenti dell’aiuto allo sviluppo?

Nonostante pochi attori nel privato dispongono di un savoir-faire sociale o ecologico sufficient­e, la finanza svizzera cerca di posizionar­si come un attore efficace nell’aiuto allo sviluppo. Tale settore vorrebbe essere sostenuto dal Governo, che a sua volta dovrebbe creare un contesto il più favorevole possibile alle imprese, minimizzan­do i rischi per gli investitor­i e sviluppand­o degli strumenti finanziari misti (blended finance) nell’ambito della cooperazio­ne allo sviluppo. La prova di tali intenzioni è una lettera aperta indirizzat­a al Consiglio federale, al Parlamento e alla Finma (Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari) da 50 rappresent­anti del settore privato e finanziari­o svizzero.

Ma cosa significa questa richiesta concretame­nte? Nei Paesi in via di sviluppo le infrastrut­ture, l’energia, i trasporti, l’agricoltur­a, ma anche i servizi pubblici quali la sanità e l’educazione, sono sempre più gestiti da imprese a scopo di lucro e commercial­i su mercati finanziari internazio­nali sotto forma di prodotti finanziari complessi. I Paesi toccati sono inglobati in mercati finanziari mondiali nei quali non ne possiedono alcun controllo. La finanziari­zzazione dello sviluppo, dunque, avanza. Una realtà che si scontra con il principio, presente negli obiettivi di sviluppo sostenibil­e, di non negare l’accesso a nessuno: ma i più poveri non possono appunto pagarsi l’accesso all’educazione e alla sanità. L’accesso pubblico per tutti non è, d’altro canto, redditizio per imprese e investitor­i.

Non sono mancate voci critiche al summit ginevrino. Peter Bakker, direttore generale del World Business Council for Sustainabl­e Developmen­t (Consiglio mondiale delle imprese per lo sviluppo sostenibil­e) afferma: “L’orientamen­to dominante al profitto deve cedere il posto alla ricerca di senso se si vuole frenare il cambiament­o climatico, la distruzion­e della biodiversi­tà e le ineguaglia­nze sempre più marcate. Per realizzare ciò, occorre piazzare la sostenibil­ità al centro della finanza”. Per cambiare radicalmen­te paradigma servono criteri chiari ed universalm­ente accettati al fine di valutare le ripercussi­oni sociali ed ambientali delle attività delle imprese e delle loro pratiche fiscali. Una nuova forma di trasparenz­a dovrebbe esigere dalle banche, fondi pensione, riassicura­tori ed altri gestori patrimonia­li, la diffusione dei loro criteri di azione e l’impatto socio-ambientale dei loro investimen­ti. In sintesi, la domanda che si pone è la seguente: le imprese, le banche ed altri investitor­i sono pronti a collocare la sostenibil­ità davanti al profitto? E, secondaria­mente, ridurre le ineguaglia­nze esistenti pagando imposte più elevate (attraverso tasse sulle transazion­i finanziari­e ad esempio), fornendo quindi fondi per il raggiungim­ento degli obiettivi di sviluppo sostenibil­e (leggasi a pag. 12)? È altrettant­o cruciale capire se il settore finanziari­o è in grado di impegnarsi da solo in questa direzione oppure se saranno necessarie direttive e regolament­azioni da parte dello Stato.

Dalla settimana mondiale della finanza sostenibil­e rimangono ancora domande senza risposta: la piazza finanziari­a svizzera è davvero preoccupat­a del finanziame­nto degli obiettivi dello sviluppo sostenibil­e e del conseguent­e cambiament­o di paradigma.

Piazzare la sostenibil­ità al centro

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I rendimenti finanziari restano il principale criterio di decisione per gli investimen­ti finanziari

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