Città contro campagna
La politica dell’alloggio non cambierà: continuerà ad essere prevalentemente appannaggio di (non molti) cantoni e comuni, senza quote di abitazioni di utilità pubblica né diritto di prelazione imposti dall’alto. Così ha deciso il popolo svizzero. L’Associazione inquilini, che ha lanciato l’iniziativa respinta, chiede più mezzi. I vincitori: tocca a cantoni e città.
La Svizzera, Paese di inquilini, ha rispedito al mittente la proposta dell’associazione che li difende. Come le altre iniziative della sinistra su cui s’è votato negli ultimi due anni (‘contro la dispersione degli insediamenti’, ‘per alimenti equi’), anche quella denominata ‘Più abitazioni a prezzi accessibili’ dell’Associazione svizzera inquilini (Asi) – sostenuta tra i principali partiti soltanto da Ps e Verdi – è andata incontro a una sonora bocciatura. Il 57,1% dei votanti ha detto ‘no’ a un testo approvato però da cinque cantoni (quattro nella Svizzera romanda, più Basilea Città: cfr. infografica) e da tutte le grandi città (Zurigo 62%, su per giù come Basilea e Berna, Ginevra 68,4%, Losanna 74,3%), così come da parecchi altri centri urbani (Lucerna, San Gallo, Winterthur, Sciaffusa) e comuni degli agglomerati. In Ticino – dove si sono distinti fra gli altri Locarno e Chiasso – il ‘no’ si è attestato al 55,4 per cento.
Piuttosto evidente è risultato il ‘Röstigraben’ tra Svizzera tedesca e ‘latina’. Ancor più chiaro il divario fra le zone urbane (dove in genere gli inquilini, numericamente, prevalgono nettamente sui proprietari) e quelle rurali (dove invece la ripartizione è più equilibrata, quando non a favore di questi ultimi).
L’esito della votazione, comunque, è in linea con le attese della vigilia. Partita bene nei sondaggi, l’iniziativa aveva infatti perso slancio cammin facendo. Le argomentazioni degli oppositori hanno fatto presa. Due di queste in particolare: la “rigidità” della prevista quota (10%) e i costi che attuare l’iniziativa avrebbe comportato (120 milioni di franchi l’anno). A poco sono valsi gli sforzi messi in campo dai promotori per confutarle: la quota del 10% è da intendere come valore di riferimento valido a livello nazionale, non per ogni cantone/comune; e i 120 milioni non sono costi, giacché si tratta di prestiti che sarebbero stati rimborsati (con gli interessi).
La palla nelle mani di cantoni e comuni
Confederazione e cantoni, dunque, non saranno obbligati a costruire più abitazioni a pigioni moderate. Non per questo il tema scomparirà dal radar della politica. La carenza di alloggi a prezzi accessibili in molte città «è un problema», riconosce il consigliere nazionale del Ppd Fabio Regazzi, da noi interpellato. Tra i politici che più si sono spesi in questa campagna, il copresidente del comitato ‘No all’iniziativa estrema sugli alloggi’ (contento che popolo e cantoni abbiano
“chiaramente respinto la nazionalizzazione del mercato immobiliare”) ribadisce tuttavia: «Il problema non andava affrontato così, con una iniziativa mal concepita, che prevedeva una quota rigida a livello nazionale, contraria allo spirito federalista. Sono i cantoni, semmai, a doversi muovere».
Stessa valutazione sul fronte del ‘sì’: «Il problema rimane. Spero perciò che chi si è opposto alla nostra iniziativa tenga fede a quanto affermato, favorendo proposte a livello cantonale e comunale», dice alla ‘Regione’ la consigliera agli Stati socialista Marina Carobbio. «Adesso – prosegue la vicepresidente dell’Asi – ci vogliono politiche cantonali, anche in Ticino, per fare in modo che vi siano più alloggi a pigione moderata. Ad esempio: i comuni ed eventualmente i cantoni che lo desiderano, dove c’è un reale bisogno, dovrebbero poter introdurre un diritto di prelazione, come proponeva la nostra iniziativa». La politica dell’alloggio è dunque destinata a restare un affare quasi esclusivo di cantoni e comuni. E va bene così, sostiene l’Unione delle città svizzere (Ucs), che aveva lasciato libertà di voto. Campagne, agglomerati urbani e città hanno interessi molto diversi; in molti centri, la quota delle cooperative edilizie supera spesso il 10%: pertanto, il testo non sarebbe stato di alcuna utilità per loro, afferma Kurt Fluri, presidente dell’Ucs. Il consigliere nazionale Plr, sindaco di Soletta, auspica che in futuro siano cantoni e comuni a prendere l’iniziativa e a fissare quote o diritti di prelazione per le cooperative edilizie in base alle loro specifiche esigenze.
A bisogni specifici, azioni specifiche, locali: l’Associazione dei proprietari fondiari la pensa allo stesso modo. L’alto tasso di abitazioni con affitti moderati nella città di Zurigo (25%) dimostra che le misure mirate sono più efficaci, indica l’associazione in una nota. Medesimo il tenore delle reazioni dei partiti borghesi e della Società svizzera degli impresari costruttori.
‘Da 250 a 500 milioni’
Con il ‘no’ all’iniziativa, entra in vigore il ‘controprogetto indiretto’. Il Parlamento federale ha già dato il via libera a un credito quadro di 250 milioni di franchi su 10 anni, prestiti che verranno iniettati nel Fondo di rotazione e che saranno da oggi a disposizione delle cooperative d’abitazione. Un importo di gran lunga «non sufficiente», afferma Marina Carobbio. Il ‘senatore’ Carlo Sommaruga (Ps/Ge), presidente dell’Asi, ha chiesto ieri di raddoppiare l’importo. Regazzi non dice no a priori. «I 250 milioni in più rappresentano una soluzione mirata: potranno essere spesi laddove i bisogni si presenteranno. Se si riveleranno insufficienti, se ne potrà parlare. La situazione delle finanze federali è buona e permetterebbe, se del caso, di correggere il tiro». Il consigliere federale Guy Parmelin ha promesso un’analisi della situazione per intervenire, qualora dovesse essere necessario, nelle aree in cui si riscontrano difficoltà nel trovare un alloggio. Liberare già adesso mezzi supplementari a questo scopo sarebbe però «cambiare le carte in tavola», ha detto il ministro dell’Economia.