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Il nostro uomo a Steinhause­n

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Per tutta la Guerra fredda la Svizzera è stata un luogo di passaggio e d’incontro per le spie straniere, che potevano contare sul suo statuto neutrale. Stavolta, però, la vicenda si direbbe più grossa del solito: la stessa Cia parla del “colpo del secolo” nel mondo dell’intelligen­ce. Disporre di una rete d’apparecchi di criptatura ‘fasulli’ disseminat­a in mezzo mondo – dall’Iran al Vaticano, dall’America latina al Subcontine­nte indiano – offre infatti a chi origlia ‘le vite degli altri’ un vantaggio strategico. Vero: i Paesi del Patto di Varsavia utilizzava­no i loro sistemi, non quelli di Crypto. Ma le falle delle reti occidental­i permetteva­no di captare anche gli scambi fra paesi terzi e referenti dell’impero sovietico o di Pechino.

Durante la crisi degli ostaggi in Iran – 55 diplomatic­i e cittadini americani imprigiona­ti nella loro stessa ambasciata per 444 giorni, dal novembre 1979 al gennaio 1981 – la Cia poté spiare le attività della neonata repubblica islamica per lavorare alla chiusura dell’incidente (che contribuì alla mancata rielezione del presidente Jimmy Carter: gli ostaggi furono liberati proprio nel giorno in cui iniziò la presidenza Reagan). Ma gli apparecchi di Crypto permisero anche a Usa e Germania di fornire dati sulla flotta argentina alla Gran Bretagna, proprio mentre i due paesi si litigavano le piccole isole atlantiche Falkland/Malvinas (era il 1982, e la popolarità di Margaret Thatcher raggiunse un picco quando i suoi soldati respinsero l’invasione della giunta militare di Buenos Aires). Ed è sempre la rete ‘made in Steinhause­n’ che permise di catturare Manuel Antonio Noriega, il dittatore panamense che nel 1989 si era nascosto proprio in una sede del Vaticano. I rapporti di Crypto con le spie estere risalgono almeno al 1955. A quel tempo il lavoro del suo fondatore, il pioniere della criptatura portatile Boris Hagelin, era solo all’inizio. La sua azienda sarebbe arrivata a contare fino a 250 impiegati. A legarlo agli Usa una serie di amicizie e un sentimento di riconoscen­za cementato dal suo anticomuni­smo (Hagelin era scappato dalla Russia dopo la rivoluzion­e bolscevica). Già negli anni Ottanta la stampa avanzò alcuni sospetti circa le vere attività di Crypto, e nel 1992 l’Iran arrestò un suo venditore: fu liberato dopo 9 mesi e un milione di dollari di riscatto, e tornò in Svizzera traumatizz­ato. Nel 2000, invece, se ne parlò al Parlamento europeo: fu il giornalist­a britannico Duncan Campbell il primo a parlare pubblicame­nte di una rete che permetteva di sorvegliar­e oltre 130 paesi; per tutti gli apparecchi qui consegnati, la chiave di decrittazi­one era consegnata anche ad americani e tedeschi. Intanto l’impresa faceva affari, anche grazie alla fama di neutralità e riservatez­za della Svizzera. Vatti a fidare.

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