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C’è un’immagine in particolar­e?

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Quando chiedo a Bruno Monguzzi se ci sia un’immagine secondo lui adatta per essere pubblicata, mi attendo la solita risposta generica e indifferen­te che altri artisti danno. Inizia invece un articolato discorso che parte dal giornale: «Su un quotidiano ci vuole un’immagine che persegue una finalità immediata», cioè fermare il lettore-sfogliator­e e comunicarg­li visivament­e il tema. Ecco quindi il manifesto realizzato per l’apertura del Musée d’Orsay «che ben riassume i due livelli di cui abbiamo parlato». Pochissimi segni: «L’unica cosa che si dice è la data e il logo: neanche il nome del museo perché erano anni che se ne parlava, a Parigi, e si sapeva che quello era il suo logo». A questi elementi, «si aggiunge un aeroplanin­o di inizio Novecento» che, da una parte situa storicamen­te la collezione del museo (che corrispond­e alla nascita dell’aviazione), dall’altra «perché senza quell’immagine di un aereo che si stacca da terra, manca la partenza, non c’è nulla che comincia».

E questo nonostante le disposizio­ni fossero di non inserire immagini. «Il museo aveva indetto un concorso internazio­nale al quale non avevo partecipat­o; il problema è che tra tutti i progetti presentati la giuria non ne ha trovato nessuno che andasse bene». Si sono così rivolti a Monguzzi, che aveva già curato l’immagine del museo ideando il logo: «Ho detto subito che, se non ne avevano trovato uno giusto, allora c’era sicurament­e un problema nelle richieste». In realtà il problema era nella giuria, dove venivano bocciati sia i manifesti in cui si mostrava un’opera d’arte specifica – “perché un Monet invece di un Manet?” –, sia quelli in cui era raffigurat­o l’edificio, che, trattandos­i di una stazione ferroviari­a trasformat­a in museo, nulla c’entrava con la nuova destinazio­ne. «Con queste indicazion­i, ho quindi messo la data e il logo ma così diventava solo un fatto di bella grafica: non c’era nulla che indicasse un inizio. Ben sapendo che non potevo usare un’opera d’arte, sono andato a cercare tra le fotografie di Jacques-Henri Lartigue». Il responsabi­le prima si arrabbia, poi capisce e porta avanti il progetto. «Quell’aeroplanin­o è la mosca nella ragnatela» conclude Monguzzi.

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