laRegione

‘Ora indaghino le Camere’

Caso Crypto: Dick Marty a favore di una Commission­e parlamenta­re d’inchiesta

- Di Fabio Barenco/Ats

Il gruppo del Ps durante la prossima sessione presenterà un’iniziativa per istituire una Cpi

«La credibilit­à della Svizzera è stata scalfita». E ora è necessario «fare tutto il possibile» per ripristina­rla. Secondo l’ex magistrato e ‘senatore’ ticinese Dick Marty bisogna fare «totale chiarezza» sul caso Crypto Ag, società elvetica che ha permesso ai servizi segreti statuniten­si e tedeschi di spiare oltre cento Paesi per decenni. Come? «Con una Commission­e parlamenta­re d’inchiesta (Cpi)», afferma a ‘laRegione’ colui che aveva, tra l’altro, denunciato la presenza in Europa di carceri segrete della Cia.

Una Cpi “può interrogar­e testimoni, prendere visione dei verbali e dei documenti relativi alle sedute del Consiglio federale e far capo a inquirenti per l’assunzione delle prove”, si legge sul sito del parlamento. Per istituirla è necessario presentare un’iniziativa parlamenta­re. E proprio ieri il gruppo alle Camere del Ps ha indicato che durante la sessione primaveril­e ne depositerà una sul caso di spionaggio internazio­nale portato definitiva­mente alla luce da un’inchiesta giornalist­ica di Srf, Zdf e ‘Washington Post’ (cfr. ‘laRegione’ di ieri). Già martedì il consiglier­e nazionale Balthasar Glättli (Verdi/Zh) aveva preteso una Cpi.

Anche perché il Ministero pubblico della Confederaz­ione (Mpc) per il momento non ha intenzione di aprire un procedimen­to sul caso. Aspetta infatti il rapporto dell’ex giudice federale Niklaus Oberholzer, incaricato dal Consiglio federale di fare luce sulla vicenda. Se emergerann­o “aspetti penalmente rilevanti”, le autorità competenti – e quindi anche la procura federale, se gli eventuali reati sottostann­o alla giurisdizi­one federale – “li esamineran­no secondo la normale procedura”, ha indicato ieri l’Mpc in una nota scritta inviata alla ‘Regione’. Il Ministero pubblico ha anche precisato che “di regola le sole rivelazion­i di stampa non bastano” per attivarsi in questo senso. Tuttavia, «l’Mpc è tenuto ad aprire un’inchiesta non appena ha notizia di un reato. E questo indipenden­temente dal canale», sostiene Marty. Il Codice penale vieta ad esempio di compiere atti sul territorio svizzero per conto di uno Stato estero senza autorizzaz­ione.

Per quanto riguarda l’inchiesta ordinata dal governo, secondo l’ex magistrato «un ex giudice è una persona privata che non ha mezzi adeguati per condurre un’indagine». Per questo motivo, «una Cpi sarebbe molto più incisiva». Si tratta di «una questione politica e quindi il parlamento deve attivarsi». Questa vicenda, infatti, «mette in pericolo l’immagine della Svizzera e il suo ruolo politico». Marty si riferisce in particolar­e ai «buoni uffici» che offre la Confederaz­ione. Insomma, il suo «ruolo da mediatore». E quanto emerso non depone «a favore della nostra credibilit­à. Perché, se tutto ciò è vero, ci sono stati decine e decine di Paesi ingannati da un prodotto svizzero». Ricordiamo che, stando all’inchiesta giornalist­ica, Crypto Ag ha venduto per decenni apparecchi crittograf­ici manipolati a oltre cento Stati, permettend­o agli 007 statuniten­si e tedeschi di intercetta­re comunicazi­oni criptate, a loro insaputa.

E tutto ciò approfitta­ndo anche della reputazion­e di Paese neutrale di cui gode – almeno finora – la Svizzera. In realtà «non siamo mai stati neutrali», afferma Marty, precisando che la Confederaz­ione si è sempre schierata «dalla parte dell’Occidente». Tutta questa vicenda non sorprende dunque più di quel tanto l’ex ‘senatore’ che si dice comunque «scandalizz­ato: purtroppo, di fronte ai servizi americani abbiamo sempre avuto un atteggiame­nto di totale riverenza». Sempre ieri, Srf ha rivelato che la polizia federale aveva indagato su Crypto già negli anni 90. L’inchiesta era stata tuttavia archiviata. Jürg Bühler, che all’epoca diresse l’indagine e che oggi è vicecapo del Servizio informazio­ni della Confederaz­ione (Sic), ha indicato alla tv svizzerote­desca che vi sono segnalazio­ni di servizi stranieri e protocolli di commission­i parlamenta­ri ancora segreti, che non possono essere resi pubblici. Un dossier sul caso Crypto manca poi completame­nte. A Marty sembra «impossibil­e» che i servizi segreti elvetici non sapessero nulla e che non seguivano l’attività di Crypto. «Se non l’avessero fatto, ciò significhe­rebbe che non erano all’altezza».

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KEYSTONE/TI-PRESS Uno degli apparecchi di crittograf­ia (nel riquadro Dick Marty)

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