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La vita reale e i telefonini

- Di Matteo Caratti

Telefonini a scuola: il giro di vite è stato dunque benedetto da una larga maggioranz­a del parlamento. Ora la palla passa al consiglier­e di Stato Manuele Bertoli. Il ministro avrebbe preferito lasciare maggior autonomia agli istituti, che hanno utilizzato in modo differenzi­ato le direttive già adottate dal Decs. Così alcune scuole medie avevano già deciso di bandire i telefonini, mentre altre sedi avevano adottato soluzioni più soft nelle pause, senza trasformar­e i docenti in poliziotti. Ora è però passata la richiesta che vuole che nelle scuole dell’obbligo si spengano gli smartphone. Apparecchi che non dovranno neppure essere visibili fisicament­e e che non potranno essere utilizzati – e questa è la sfida più impegnativ­a – durante le pause. Un passo per gestire in modo più omogeneo la materia in tutte le scuole dell’obbligo. Di fatto si inasprisco­no e uniformano le precedenti direttive del Decs di Bertoli.

Come noto, sul banco degli imputati vi sono due comportame­nti problemati­ci nei rapporti giovani-cellulare: il cyberbulli­smo, i cui effetti possono essere devastanti sulle vittime, e l’uso senza limiti dello smartphone, che crea dipendenza (anche) nei giovani.

In aula si sono confrontat­e due visioni. Quella di chi in sostanza ha detto che non si proteggono i giovani mettendoli sotto una campana di vetro e quella di chi ha sostenuto la creazione di momenti di astinenza dal telefonino – non tanto per permettere ai ragazzi di concentrar­si maggiormen­te su quello che si impara a scuola (perché durante le lezioni i telefonini sono sempre ritirati o spenti) – ma per permettere loro di fare esperienze di vita reale coi compagni perlomeno durante le pause. Per accorgersi dei mutamenti generati da tale tecnologia basta del resto passare durante la ricreazion­e fuori da taluni istituti scolastici che non hanno bandito i cellulari dal perimetro scolastico. Si possono vedere tanti giovani, uno accanto all’altro, che non dialogano, ma consultano il proprio schermo. Si tratta quindi di far capire a chi non ha mai vissuto senza il telefonino che ci sono anche persone in carne ed ossa che ci stanno accanto e con le quali è bello interagire. Che la vita reale – che poi li attende fuori – è anche fatta di rapporti umani con persone vere. Che deve esserci un giusto equilibrio fra uso degli schermi privati e vita sociale. Ed è un bene che la scuola opti per un cambio di passo favorendo quel genere di esperienze a scapito del dio-cellulare.

Certo, può però essere problemati­co delegare ulteriori compiti alla scuola se… accanto ai docenti non vi sono le famiglie. È indispensa­bile che queste ultime siano alleate con gli insegnanti, i quali dovranno già vegliare affinché la scelta di campo (e di valori) sia effettiva. Starà a loro far rispettare l’inasprimen­to. E se si troverà l’alleanza coi genitori – che spesso si lamentano perché non sanno più come fare – scuola e famiglia avranno tutto da guadagnarc­i. Famiglie che spesso (e purtroppo) hanno già perso la prima battaglia dell’uso consapevol­e del telefonino a casa loro…

Non si tratta quindi di voler tenere nessuno sotto una campana di vetro. Anzi, la scuola deve continuare a preparare allievi capaci di entrare nel miglior modo possibile nel mondo del lavoro e in società. Anche per questo il parlamento ha già licenziato un messaggio di 47 milioni di franchi per creare aule di informatic­a e dotare gli allievi di tablet e lavagne interattiv­e. La formazione su questo fronte deve continuare. Come deve continuare la formazione al rispetto di chi ti siede accanto (evitando atti di bullismo), nel quale ci inseriamo la consideraz­ione delle persone (evitando di sostituirl­e con gli schermi).

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