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Ritrovarsi nelle lingue

Oggi a Lugano presentazi­one dell’antologia ‘Poesia della Svizzera tedesca tradotta da poeti’

- Di Ivo Silvestro

‘Tradurre poesia significa di fatto ricreare poesia’ ci spiega la curatrice del volume Annarosa Zweifel Azzone

Friedrich Dürrenmatt tradotto da Fabiano Alborghett­i e Donata Berra, Erika Burkart tradotta da Anna Ruchat e Remo Fasani, e poi ancora Martin Merz tradotto da Giovanni Orelli, Robert Walser tradotto da Antonio Rossi: sono alcune delle meraviglie che troviamo sfogliando l’antologia ‘Poesia della Svizzera tedesca tradotta da poeti’ curata da Annarosa Zweifel Azzone, traduttric­e e già docente di letteratur­a tedesca all’Università di Padova. Il volume, pubblicato da Crocetti, sarà presentato oggi alle 18 alla Biblioteca cantonale di Lugano e – ci spiega la curatrice – nasce da un progetto precedente, «l’antologia ‘Cento anni di poesia nella Svizzera tedesca’, titolo che ricalca quello di un testo famoso di Mengaldo, Bonalumi e Martinoni (‘Cento anni di poesia nella Svizzera italiana’, Dadò 1997, ndr), nella quale avevo raccolto testi di poetesse e poeti facendo io di molti testi quella che si chiama una “traduzione di servizio”».

Una sorta di “mappatura iniziale” della poesia nata nella Svizzera tedesca, alla quale doveva però seguire qualcos’altro: «Mi sono resa conto che la poesia va ricreata, va tradotta da poeti, ho quindi interpella­to poeti che conoscevo, o direttamen­te o attraverso i loro testi, e dato loro in mano questa mia antologia: sono stati loro a scegliere le poesie che erano a loro più congeniali».

Ricreare la poesia

«Occupandom­i anche a livello accademico di quella che si può chiamare traduttolo­gia, mi ero convinta – e del resto è convinzion­e ampiamente condivisa – che tradurre poesia significa di fatto ricreare poesia, rivivere l’atto creativo, creare una poesia nuova». E per fare questo «bisogna essere poeti: può riuscire anche a chi traduce normalment­e solo prosa, ma la partitura poetica va messa in mano a un poeta, perché per un non poeta non è semplice cogliere pienamente il gioco delle immagini, delle sonorità espressive» spiega Zweifel Azzone. Le versioni in italiano sono quindi da considerar­e un’opera collettiva, tanto dell’autore originale quanto del traduttore? «Sì, è una nuova poesia, ma potremmo anche dire che sono entrambi traduttori: l’autore originale traduce dalla natura, dalla realtà, in poesia; l’altro traduce la poesia da un sistema di segni a un altro sistema di segni, ma sempre con la sua capacità poetica».

Un lungo lavoro, quello che ha portato al volume. «Inizialmen­te c’è stata la fase di esplorazio­ne, le ore trascorse alla Zentralbib­liothek di Zurigo: l’incontro con i poeti è stata l’esperienza più bella; poi il lavoro di selezione per la prima antologia e ancora la seconda selezione, fatta dai poeti-traduttori». In base, come accennato, alle affinità. «Penso a Martin Merz, fratello del più famoso Klaus, un poeta morto molto giovane, con un solo libretto di poesie che ha attratto l’interesse di Giovanni Orelli, un aspetto che mi è sembrato molto commovente: quando ha collaborat­o al progetto, Giovanni Orelli stava già molto male, sentiva vicina la fine e ha trovato una qualche affinità in questo poeta morto giovane con la consapevol­ezza di una morte imminente». O ancora «Vivian Lamarque che ha tradotto Aglaja Veteranyi, un personaggi­o anomalo nella poesia della Svizzera tedesca: nata in una famiglia nomade, una vita infeliciss­ima e breve».

Che cosa l’ha spinta a lavorare a questo progetto? «Nella mia attività accademica ho notato che nei manuali di letteratur­a in lingua tedesca ci sono solo Germania e Austria, con una macchia bianca al posto della Svizzera». Anche due voci importanti della poesia svizzero-tedesca, Erika Burkart e Kurt Marti, «vengono inglobate nelle antologie di poesia tedesca, senza specificar­e che erano svizzeri». Così, spiega Annarosa Zweifel Azzone, «un po’ perché sono svizzera, un po’ perché trovavo strano questo vuoto, con la letteratur­a svizzera inglobata nelle altre letteratur­e o inesistent­e, ho iniziato questo lavoro di scavo, andando a caccia di testi poetici rendendomi conto che nel Novecento in Svizzera c’è stata un’importante produzione poetica, con voci originali che vale la pena, credo, di far conoscere al lettore italiano».

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Alle 18 alla Biblioteca cantonale

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