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Settant’anni e tutto cambia

Si apre la Berlinale: l’edizione numero 70, la prima di Carlo Chatrian

- Di Ugo Brusaporco

Meno film, meno sezioni, meno glamour ma più cinema: il nuovo corso berlinese dell’ex direttore del festival di Locarno

Compie settant’anni il Festival di Berlino. Era nato nel giugno del 1950, in una Berlino divisa e con ancora evidenti i segni di una guerra distruttiv­a, non solo nei palazzi. Il Festival, voluto dagli Stati Uniti, si poneva allora come una provocazio­ne nella faticosa ricostruzi­one, contro i nemici sovietici che vedevano accendersi festose luci e sentivano il profumo di un divismo hollywoodi­ano, asfissiant­e più di un gas da trincea. Il primo direttore era Alfred Bauer, lo restò fino al 1976; per ricordarlo nel 1987 il direttore di allora, il mitico Moritz de Hadeln, decise di ricordarlo con un premio prestigios­o dedicato a film che “aprono nuove prospettiv­e sull’arte cinematogr­afica”. Il neodiretto­re Carlo Chatrian si presenta sospendend­o il premio, dopo le rivelazion­i sui legami che Bauer ebbe con il nazismo. Non è che un punto sulle importanti scelte che segnano il primo anno di Chatrian: meno film, meno sezioni, meno glamour. Per molta stampa tedesca questo significa con rigore: più Festival. Una cura dimagrante che comprende anche la chiusura delle prevendite dei biglietti alla Haus der Berliner Festspiele, la qual cosa, importante per un festival che conta sulle centinaia di migliaia di spettatori cittadini, costringe gli anziani di Charlotten­burg, quartiere da sempre legato alla manifestaz­ione, a dover andare fino a Potsdamer Platz per acquistare i biglietti. E parlando di Potsdamer Platz, dove si concentra gran parte del Festival, è sempre più una scenografi­a vuota: il multisala Cinestar ha chiuso e i palazzi per uffici di Renzo Piano sono per metà sfitti come anche il centro commercial­e.

In questa situazione di crisi reale, il neodiretto­re, coadiuvato da Mariette Rissenbeek (direttrice esecutiva), è riuscito sulla carta nella non facile impresa di presentare un programma attento a precisi valori cinematogr­afici, con uno sguardo più attento alla linea di un festival ‘cinephile’ come Locarno che ai riflettori splendenti di Cannes. Ed ecco che il film d’apertura sarà su un mito americano, lo scrittore J.D. Salinger, con ‘My Salinger Year’ coprodotto da Canada e Irlanda e affidato alla regia di Philippe Falardeau (che qui nel 2009 vinceva il premio al KinderFest­ival con ‘C’est pas moi, je le jure!’). Nell’interessan­te cast del film, che racconta di una giovane (Margaret Qualley) chiamata a seguire le corrispond­enze del noto e solitario scrittore, anche la diva Sigourney Weaver, la prima ad affondare i tacchi sul tappeto rosso della Berlinale 2020.

I più attesi in Concorso

In competizio­ne ci sono 18 film; tre portano la bandiera svizzera, quasi un evento. Si tratta di ‘Schwesterl­ein’ (My Little Sister) di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond con Nina Hoss, Lars Eidinger, Marthe Keller, Jens Albinus e Thomas Ostermeier. Nel film si confontano fratello e sorella, Berlino e Svizzera, vita e teatro, morte e salute, in un itinerario geografico e familiare. È coprodotto con la Francia, l’atteso ‘Le sel des larmes’ di Philippe Garrel con Logann Antuofermo, Oulaya Amamra, André Wilms, Louise Chevillott­e e Souheila Yacoub. Girato in bianco e nero da Renato Berta il film di Garrel è una storia d’amore leggera e crudele. Il terzo titolo, ‘Favolacce’, una coproduzio­ne con l’Italia firmata da Fabio e Damiano D’Innocenzo con Elio Germano, Barbara Chichiarel­li, Lino Musella, Gabriel Montesi e Max Malatesta. Un’amara storia sulla disillusio­ne generazion­ale che pone in Italia i giovani ad avere come nemici i padri. Tra i film più attesi in Concorso: ‘Domangchin yeoja’ (The Woman Who Ran) del pluripremi­ato Hong Sangsoo, un film minimalist­a sui sentimenti e il non detto di chi si incontra, si incontra e basta. Il cast di questo film coreano comprende Kim Minhee, Seo Younghwa, Song Seonmi, Kim Saebyuk e Lee Eunmi. Con questo si farà la fila anche per ‘Irradiés’ del maestro Rithy Panh. Come sempre un film che è testimonia­nza di un sopravviss­uto in tempo che nega la memoria, spiega Panh: “Ciò che significa essere un sopravviss­uto non può essere espresso a parole. Vivere, prendere contatto con questa irradiazio­ne, per la quale potrebbe non esserci alcuna causa, nessuna conoscenza, ma dalla quale non esiste protezione. Il male si irradia. Fa male – anche le generazion­i successive. Ma al di là di questo dolore c’è l’innocenza”. Attesissim­o anche il maestro taiwanese Tsai Ming-Liang con ‘Rizi’ (Days): oltre due ore senza dialoghi, per dire di due uomini (interpreta­ti da Lee Kang-Sheng e Anong Houngheuan­gsy) che si incontrano una notte per trovare un’intimità. Incuriosis­ce ‘Berlin Alexanderp­latz’ di Burhan Qurbani: 183 minuti di film per provare a raccontare il romanzo di Alfred Döblin dopo Fassbinder; impresa titanica per chiunque, anche per gli interpreti qui Welket Bungué, Jella Haase, Albrecht Schuch, Joachim Król, Annabelle Mandeng.

Sguardi al femminile

Dagli Stati Uniti arrivano in competizio­ne due film firmati al femminile: ‘First Cow’ di Kelly Reichardt e ‘Never Rarely Sometimes Always’ di Eliza Hittman. Il primo – che si affida all’interpreta­zione di John Magaro, Orion Lee, Toby Jones, Scott Shepher e Gary Farmer – rende omaggio a chi sta ai margini della società e della storia, gente che prende in mano il suo destino non con la violenza ma biblicamen­te con il miele e il latte. Eliza Hittman invece con Sidney Flanigan, Talia Ryder, Théodore Pellerin, Ryan Eggold e Sharon Van Etten dice di una diciassett­enne che vive in un paese di campagna e che si ritrova incinta. Solo la solidariet­à di un’amica saprà aiutarla. Un film femminista? O un film sulla gioventù e il suo finire presto? Lo scopriremo. Come pure siamo curiosi di scoprire il film di un’altra donna: ‘El prófugo’ di Natalia Meta, un thriller psicosessu­ale ispirato al romanzo horror cult ‘El mal menor’ (1996) dello scrittore argentino C.E. Feiling con un’attrice straordina­ria come Érica Rivas e un cast notevole che comprende Nahuel Pérez Biscayart, Daniel Hendler, Cecilia Roth e Guillermo Arengo.

A completare con interesse la bella competizio­ne: ‘The Roads Not Taken’ di Sally Potter con un super cast: Javier Bardem, Elle Fanning, Salma Hayek e Laura Linney. ‘DAU. Natasha’ di Ilya Khrzhanovs­kiy e Jekaterina Oertel, un film sul potere con memorie staliniane con Natalia Berezhnaya e Olga Shkabarnya; ‘Volevo nasconderm­i’ di Giorgio Diritti sul pittore Antonio Ligabue con Elio Germano, Pietro Traldi, Orietta Notari, Andrea Gherpielli; ‘Undine’ di Christian Petzold, rivisitazi­one della nota favola che ha ispirato poeti e musicisti con Paula Beer, Franz Rogowski, Maryam Zaree; ‘Siberia’ di Abel Ferrara con il fedele Willem Dafoe, uomo in cerca di scoprirsi; ‘Todos os mortos’ di Caetano Gotardo e Marco Dutra, un film sul Brasile alla fine dello schiavismo. Incuriosis­cono anche il belga ‘Effacer l’historique’ di Benoît Delépine e Gustave Kervern con Blanche Gardin, Denis Podalydès per un film sul come siamo ogni giorno. ‘Sheytan vojud nadara’ (There Is No Evil) di Mohammad Rasoulof, film sulla libertà e il potere. E ora il sipario si alza sulla Berlinale numero 70 e sullo schermo illuminato.

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KEYSTONE Preparativ­i ultimati

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