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‘Inizio a pensare che siamo questi’

Marco Degennaro, direttore generale

- Di Marzio Mellini

Marco Degennaro parla del difficile momento del Sion prima di una sfida col Lugano che s’annuncia palpitante. ‘Pure noi lottiamo per non retroceder­e, è bene che se ne prenda coscienza’.

Il dirigente vallesano fotografa il momento molto delicato dei vallesani, scivolati alle spalle del Lugano a cui rendono visita domenica per un duello che si annuncia palpitante. ‘Lottiamo anche noi contro la retrocessi­one, è bene prenderne coscienza e comportarc­i di conseguenz­a’. È l’anno buono, è l’allenatore giusto. Sono delle speranze, più che dei concetti in cui dalle parti del Tourbillon credono davvero. Del resto, tante ne hanno viste e sentite, che diventa davvero difficile votarsi all’ottimismo, in una piazza abituata da troppo tempo ormai a disattende­re qualsivogl­ia aspettativ­a.

Possibile che il Sion non riesca mai ad avere un rendimento costante, di un livello consono al potenziale e alle aspettativ­e di una piazza tradiziona­lmente molto vicina alla propria squadra del cuore? «Comincio a pensare – spiega il direttore generale dei vallesani Marco Degennaro – che noi siamo questi. Siamo una piazza in cui gli allenatori non riescono a legare e avere un rapporto duraturo con il club. La nostra dimensione è questa, il nostro livello è questo, ne dobbiamo prendere coscienza. Non possiamo sempre pensare che un anno c’entri la sfortuna, un altr’anno sia colpa dell’allenatore, la volta dopo incida chissà quale fattore negativo. Oggi il Sion è questo: dobbiamo attestarci come squadra che deve salvarsi, facendo immediatam­ente nostra la mentalità giusta di chi ha piena consapevol­ezza di quale traguardo deve inseguire. Se parti con l’atteggiame­nto sbagliato, poi cambiarlo in corsa e iniziare solo cammin facendo a pensare di essere una squadra che deve lottare per la salvezza diventa rischioso. Può andare bene una stagione, magari anche una seconda, ma poi il pericolo di non più farcela è reale. Si rischia di pagarla a caro prezzo quella mancanza di giusta mentalità».

C’è qualcosa di inedito che caratteriz­za la stagione in corso del Sion, o quantomeno di diverso da quanto accaduto in passato? «Non è accaduto nulla di diverso dal solito. Siamo partiti con giocatori che pensavamo potessero fare la differenza, con un allenatore che pensavamo ci potesse portare in alto, ma invece ci troviamo in questa situazione. Non per colpe esclusive dei calciatori o del tecnico in questione».

La piazza, nonostante tutto, vi segue. «Abbiamo avuto un calo di affluenza allo stadio negli ultimi due o tre mesi, ma è comprensib­ile. Posso capire che i tifosi si stanchino di andare a vedere una squadra che disattende le attese. Proprio perché a Sion si parte con un’idea che non è quella con cui poi ci si ritrova confrontat­i. Se fossimo partiti con l’obiettivo dichiarato della salvezza, avremmo un pubblico comunque votato alla nostra causa, anche piuttosto numeroso. Se cominci invece con determinat­e aspettativ­e e i risultati non arrivano, poi sei costretto a convincere i calciatori, te stesso, la società, che la situazione è davvero delicata. Un’operazione complessa che chiama in causa anche il pubblico, costretto a risintoniz­zarsi anch’esso. A inizio stagione pregustava un campionato completame­nte diverso, ma poi viene invitato allo stadio per una squadra che non ne vince mai una. Il pericolo che si disaffezio­ni è concreto».

Credibilit­à in calando

In un calcio antico, romantico ma non più attuale, una delle peculiarit­à del Sion erano i giocatori ‘fatti in casa’, con i quali una piazza così esigente non faticava a identifica­rsi. Al netto di tempi ormai stravolti, non solo cambiati, il Sion ha mai pensato a ridarsi un’impronta maggiormen­te vicina al territorio in cui opera? «Potrebbe essere una soluzione. Va comunque ricordato che ogni anno riusciamo già a inserire in prima squadra uno o due elementi del settore giovanile. Non è scontato riuscirci, basti pensare alle difficoltà che ha il Ticino, in un bacino più o meno simile al Vallese. Edimilson, Fernandes,

Toma, Sierro... Qualche svizzero in più abbiamo poi cercato di inserirlo, ma anche questa operazione non è stata troppo fortunata. Si pensi agli alti e bassi con Kasami, alle incomprens­ioni avute con Behrami, per colpe che sono distribuit­e su più attori, non solo del giocatore. Ora abbiamo Djourou, con il quale speriamo di avere maggiore successo. Agli occhi della gente, il suo passato di nazionale svizzero, di giocatore forte, di livello, qualche garanzia la dà. Più di quanto possa fare l’ennesima scommessa fatta sul mercato, il cui rendimento sovente è insufficie­nte. Acquisti che, oltretutto, presuppong­ono investimen­ti piuttosto onerosi. Sai, se non spendi un franco per un calciatore, poi ci sta che non renda ad altissimi livelli. Se però investi un discreto gruzzolett­o e non ottieni granché sul piano dei risultati. come accaduto negli ultimi anni, è chiaro che i conti non tornano. Ed è un problema anche sul piano delle aspettativ­e dei nostri tifosi, puntualmen­te disattese». In campionato comanda il San Gallo, Yb e Basilea inseguono. Un bene o un male? «Per la forza economica che esprimono, Yb e Basilea dovrebbero dominare. Se non lo fanno, significa che c’è qualcosa che non va. Parimenti, se il Sion non è in alto, qualcosa non torna. È un male per la Svizzera: per il ranking Uefa, per i posti nelle competizio­ni europee, per l’appetibili­tà stessa del campionato svizzero. Oggi guida il San Gallo, compagine uscita nei preliminar­i di Europa League contro un’avversaria della quale manco ricordiamo più il nome. A fronte di questa consideraz­ione, è lecito domandarsi che campionato sia, quello svizzero. Il livello si è abbassato, c’è un certo appiattime­nto. C’è imprevedib­ilità, laddove in passato il risultato era scontato, ma sul piano della forza e dell’impatto che la Super League vanta a livello europeo è chiaro che la credibilit­à va scemando, a scapito della futura partecipaz­ione delle squadre elvetiche alle competizio­ni europee. La prima classifica­ta non avrà più l’accesso diretto alla Champions, la seconda e la terza dovranno prendere parte alla terza competizio­ne alla quale l’Uefa sta lavorando. Magari partendo pure dai preliminar­i, contro un’avversaria di cui si fatica a pronunciar­e il nome, ma che rischia di eliminarti, ahimé. Come accadde tre anni fa a noi, con Tramezzani, contro i lituani del Sudova, con una squadra con la quale pensavamo di competere per il campionato. È triste, ma è la nostra realtà. Perderemo i punti dell’ultimo quinquenni­o, quello del Basilea che andava avanti in Champions, del brillante cammino in Europa League dello stesso Sion, nel 2015».

Al quadretto desolante aggiungiam­o che il Servette neopromoss­o è quarto. «Hanno cambiato pochissimo, i granata. È ancora più drammatico, per certi versi. Significa che qualunque squadra, strutturan­dosi bene e lavorando in un certo modo, può essere protagonis­ta. In Svizzera, del resto, funziona così. Il Lugano nella passata stagione era in Europa, ora invece lotta per non retroceder­e. Succede tutto e il contrario di tutto, nell’arco di pochi mesi. Ne risente la stabilità».

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KEYSTONE ‘Troppe aspettativ­e disattese’
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TI-PRESS/GIANINAZZI A Cornaredo in agosto vinse il Sion 1-0

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