‘Per controllare il destino’
Giovanni Morini e ‘due partite da dodici punti. Ma le abbiamo preparate in modo accurato, e adesso la preparazione è tutto’.
Lugano – Undici mesi. Tanti ne sono passati dalla sua ultima partita dello scorso campionato (la sera del 16 marzo) alla prima della corrente stagione con la maglia del Lugano, il 14 febbraio a Losanna. Undici mesi che Giovanni Morini ha vissuto con una girandola di emozioni. Passando dalla gioia per la convocazione al suo secondo Mondiale del Gruppo A alla sofferenza (e non solo fisica) del doversi congedare dalla rassegna iridata già dopo la prima partita contro la Svizzera (l’11 maggio), costatagli il grave infortunio al ginocchio sinistro: rottura del legamento crociato anteriore. «Ho ripensato più volte a quel giorno e all’infortunio – racconta il numero 23 del Lugano –. È successo tutto in una frazione di secondo. È stato un concatenamento di circostanze che, sommate, hanno portato a quell’infortunio: un banale contrasto di gioco, il ghiaccio molle, la lama del mio pattino che resta incastrata nella superficie rovinata, una rotazione con le gambe troppo tese... e la frittata è fatta». Verdetto inappellabile per lui: stop forzato di 6-7 mesi e poi la lunga riabilitazione. Dopodiché, finalmente, la sera di sabato 25 gennaio il ritorno in pista, con la maglia dei Rockets, per la prima di quattro partite di ‘rodaggio’, prima di tornare a vestire il bianconero. A Losanna si è dunque concluso il suo lungo calvario. Qual è stata la cosa più difficile di questi mesi? «Tante cose... In tutta questa sfortuna, comunque, ho avuto la fortuna di non aver mai avuto particolari problemi al ginocchio durante la lunga riabilitazione. Non fa mai piacere restare a margine della competizione per diverse partite; se poi devi saltare quasi tutta la stagione regolare ed essere costretto a guardare i tuoi compagni giocare e soffrire sul ghiaccio è ancora più dura da accettare. Mi sono fatto forza con la consapevolezza che, lavorando duro, giorno dopo giorno, costantemente, prima o poi avrei ripreso il mio posto in squadra. Lontano dal ghiaccio ho continuato a lavorare senza sosta, mettendomi addosso anche parecchia pressione: ogni secondo sottratto alla riabilitazione avrebbe comportato un ulteriore allungamento dei tempi di recupero, e perciò non mi sono concesso un attimo di tregua».
Veniamo al presente: quello che si apre oggi, per il Lugano è un weekend fondamentale: «L’importanza di queste due partite è sotto gli occhi di tutti. Affronteremo due avversarie dirette per la corsa ai playoff e dunque la posta in palio è altissima. Queste non sono partite che valgono sei punti, ma dodici! Ragion per cui dovremo dare tutto quanto è nelle nostre possibilità. Consapevoli della loro importanza, abbiamo cercato di prepararle accuratamente, e mi sento di poter dire che siamo pronti».
Con un successo a Friborgo, classifica alla mano, il destino a quel punto sarebbe per davvero nelle vostre mani... «Già adesso siamo in una buona posizione rispetto alle altre, ma ora spetta a noi vincere questi due scontri diretti per metterci in una posizione ancora più ideale». Da giocatore rodato quale sei, situazioni così ne hai già vissute. E come si affrontano dal profilo mentale? «La preparazione in questi frangenti è la chiave di tutto. Occorre prepararsi al meglio, sia fisicamente, sia mentalmente. Ognuno ha la propria routine, e per quanto possibile deve cercare di attenervisi. E una volta sul ghiaccio, non pensare ad altro e dare il massimo su ogni disco, ogni contrasto». Alla Nazionale italiana ci pensi ancora? «Il selezionatore (Clayton Beddoes, ndr) si è regolarmente informato sulle mie condizioni, dunque ritengo che sia un capitolo ancora aperto. Ma ora come ora la mia attenzione è tutta focalizzata sul Lugano».