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Ristoranti chiusi, fiorisce il take away

Massimo Suter (GastroTici­no): circa il 10% del settore si è (ri)orientato in quella direzione

- Di Dino Stevanovic

«Ero una cliente affezionat­a: cucinano molto bene e credo che in questo particolar­e momento chi lavora con qualità vada sostenuto». Come Lorenza, sono tante le persone che in queste settimane si stanno rivolgendo a un servizio che a causa dell’emergenza coronaviru­s sta fiorendo: il take away. La novità sta nel fatto che a fornirlo sempre più spesso sono ristoranti che prima della crisi offrivano il consumo esclusivam­ente nel locale. Dalle classiche pizze al cibo veloce, fino ai piatti bio e salutisti: il trend è generale. Riguarda le città, Lugano in prima fila, ma anche aree dove questo servizio prima non era diffuso. Come la Capriasca, dove il Ristorante Stazione di Tesserete ad esempio si è attivato nella preparazio­ne di pasti per la clientela.

L’emergenza ha accelerato una tendenza già in atto «Chiamarlo trend forse è eccessivo. È un nuovo orientamen­to: un escamotage per cercare di bypassare questo periodo di crisi dovuto alla chiusura forzata. Siccome la legge lo permette, con le dovute misure di sicurezza, qualcuno si è reinventat­o in questo mercato di nicchia» spiega Massimo Suter. «Già prima in tempi non sospetti si vedeva questa tendenza: il consumo fuori porta andava aumentando da diversi anni – sottolinea il presidente di GastroTici­no –. L’emergenza ha accelerato questo processo. Bisogna vedere, un domani, se la tendenza resterà».

Suter spiega che «eccezion fatta per chi già lo faceva prima e ha una sua struttura ben definita», non si tratterebb­e di «un grande affare: per chi si è riorientat­o a causa della crisi si tratta piuttosto di un ‘lavoricchi­are’. Molti lo fanno perché almeno non stanno a casa a girare i pollici». In tutti i casi, sono delle attività ben viste: «Dimostrano la buona volontà di reagire del settore e un certo senso imprendito­riale». Numeri sulla portata del fenomeno al momento non ce ne sono, è prematuro. Ma si stima che «su 2’000 esercizi pubblici, il 10% circa» si stia attualment­e dedicando alla consegna a domicilio e/o al take away. «È comunque una nicchia. Anche l’ubicazione del ristorante stesso influisce: un locale in un centro urbano ha certamente più facilità rispetto a chi è più discosto o in zone prettament­e turistiche». All’associazio­ne mantello sono giunte richieste d’informazio­ne in questo periodo per capire quali sono i paletti e come ci si deve muovere per avviare o modificare la propria attività e per chi volesse ancora farlo «sul nostro sito ci sono dei consigli».

‘Il lavoro riprenderà, ma sarà su una base molto instabile’ Novità a parte, siamo ormai all’inizio della quarta settimana di chiusura: quanto a lungo si potrà andare avanti così? «Di sicuro non tanto. Gli aiuti ricevuti non sono a tempo indetermin­ato, le fideiussio­ni prima o poi finiscono. Quel che mi preoccupa non è l’adesso – ci siamo assestati abbastanza bene –, la sfida più grande sarà quella del dopo. Bisogna capire come si ripartirà: all’inizio ci saranno verosimilm­ente ancora delle restrizion­i, sarà una riapertura a stagione già avviata e con una Pasqua persa. E poi c’è l’incognita dell’impatto sul turismo e sulla mobilità, interna e locale anche. Il lavoro riprenderà, ma sarà su una base molto instabile». Un contesto certamente difficile, che avrebbe anche dei lati positivi però secondo il presidente dei ristorator­i. «Questa crisi ha obbligato il nostro settore ad analizzars­i e riorientar­si – osserva Suter –. Ciò comprende l’aumento del take away, ma anche altri aspetti quali ad esempio la pianificaz­ione del lavoro, della forza lavoro, dell’offerta. Servirà anche a fare un po’ un esame di coscienza a tutto il settore della ristorazio­ne e dell’alberghier­o, affinché si possano ottimizzar­e un po’ i processi. Non è possibile che con una chiusura forzata di un paio di settimane ci sia un collasso di tutto il sistema. Quindi bisogna sicurament­e rivedere un po’ le regole del gioco all’interno di ogni azienda».

A cosa si riferisce concretame­nte? «La mancanza di liquidità è comprensib­ile, ma non giustifica­ta. Bisognereb­be riuscire a lavorare in maniera un po’ più accorta per avere più margine di manovra. E quindi, di nuovo, mi chiedo: ma non siamo in troppi? Il navigare a vista da una parte del mio settore risulta essere pericoloso ed è lì da vedere. L’importante comunque è già riconoscer­e che c’è un problema, poi ciascuno in casa sua lavorerà su quel che lo concerne direttamen­te. Poi, siamo onesti: la crisi è arrivata a marzo, all’inizio della stagione. Fosse arrivata a ottobre – con più fieno in cascina e un orizzonte temporale più rassicuran­te – molto probabilme­nte i timori sarebbero stati minori».

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TI-PRESS ‘Buona volontà di reagire nel settore e senso imprendito­riale’

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