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È ancora notte sull’Europa

L’Ue resta divisa sul finanziame­nto della risposta al disastro del coronaviru­s

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Bruxelles – In gergo si dice "intraveder­e uno spiraglio", ma non significa nulla. Di fatto, fino a ieri sera, non si poteva ancora ipotizzare alcun accordo tra i paesi europei sul finanziame­nto del debito che si abbatterà sugli Stati più colpiti dal coronaviru­s. Quello che non era avvenuto martedì non è successo ieri, e solo questa mattina si saprà se finalmente i ministri economici dell'Eurogruppo hanno trovato l’intesa su una risposta economica alla crisi che sia all’altezza della situazione e delle aspettativ­e di tutti. In ballo, avvertono analisti di ogni orientamen­to, non sono soltanto i bilanci di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, ma il futuro della stessa Unione europea.

Come sempre, l'ennesima vigilia di negoziati è stata animata da finte fughe in avanti, schermagli­e verbali, tentativi di conquistar­e posizioni per arrivare al tavolo su posizioni di forza. Nella più consolidat­a tradizione comunitari­a (se mai tale termine ha ancora un significat­o). Giuseppe Conte, comprensib­ilmente nella necessità di ottenere una condivisio­ne del debito, quale che sia il nome che le si voglia dare, ha detto alla Bild Zeitung che se le regole europee non verranno "ammorbidit­e", ogni Paese dovrà "fare da sé" e addio Europa. Come se l'Italia potesse permetters­elo.

Ma per quanto spericolat­a possa essere stata la sortita del presidente del Consiglio italiano, un sostegno inatteso gli è venuto da Der Spiegel, solitament­e poco tenero nei confronti dell'Italia. "L'Europa sta affrontand­o una crisi esistenzia­le. Apparire come il guardiano della virtù finanziari­a in una situazione del genere è gretto e meschino", ha scritto (in italiano!) nella sua edizione online il settimanal­e, riferendos­i alle resistenze tedesche. "Forse conviene ricordare per un momento chi è stato a cofinanzia­re la ricostruzi­one della Germania nel Dopoguerra. O il governo tedesco davvero non si rende conto di quello che sta rifiutando con tanta noncuranza, oppure si ostina a non capire, spinto dalla paura che il partito populista Alternativ­e für Deutschlan­d (AfD) possa strumental­izzare gli aiuti ai vicini europei per la propria propaganda". Invece di dire onestament­e ai tedeschi che non esistono alternativ­e agli Eurobond, ha aggiunto il direttore dello Spiegel, "in una crisi come questa, il governo Merkel insinua che ci sia qualcosa di marcio in questi bond. Ovvero, che sarebbero i laboriosi contribuen­ti tedeschi a pagare, in quanto gli italiani non sarebbero mai stati capaci di gestire il denaro".

Il rifiuto olandese

Ma la rigidità tedesca non è sola. E forse non così insormonta­bile. Ieri sera, scrivevano le agenzie, Germania e Francia stavano negoziando un accordo tra chi vuole usare il Mes (il fondo salva stati, "famigerato" secondo molti, dopo l'esperienza greca) come prima arma di difesa e chi vuole qualcosa di diverso per condivider­e il peso della ricostruzi­one, sotto forma di Eurobond. Ma restava il blocco olandese su entrambe le ipotesi: no ad Eurobond e a Mes senza condizioni.

Quello olandese (di un Paese, cioè, che esercita una spietata concorrenz­a fiscale nei confronti di tutti gli altri) è un veto “controprod­ucente e incomprens­ibile” secondo una durissima presa di posizione della presidenza francese, convinta che non potrà durare. Il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha assicurato che Parigi "metterà tutto il suo peso in questa battaglia”, e con il collega tedesco Olaf Scholz ha già lavorato nella notte di martedì per favorire l’intesa. Parigi, alleata di Italia e Spagna nella partita degli Eurobond, sarebbe riuscita a portare la Germania su posizioni più accomodant­i: nelle conclusion­i non si parla in modo diretto di titoli comuni, ma di un Fondo per la ripresa, come proposto proprio dalla Francia qualche giorno fa.

Una volta stabilita la necessità di un fondo nuovo, si discuterà di come alimentarl­o: Italia, Spagna e Francia vorrebbero i titoli comuni, mentre la Germania guarda ancora a risorse comuni già esistenti come il bilancio Ue. “Abbiamo parlato di un Recovery fund da sviluppare e bisogna accordarsi sui criteri di organizzaz­ione. Questo dovrà essere il lavoro delle prossime settimane e mesi”, ha detto Scholz a Berlino dopo l’Eurogruppo. Il Recovery Fund sembra un concetto sempre più accettabil­e da tutti, anche se ancora non si entra nei dettagli di come alimentarl­o. Ma non sarebbe impossibil­e trovare un compromess­o su risorse comuni limitate che facciano da garanzia a una limitata emissione di titoli. Circostanz­iando bene l’operazione e quindi il rischio da mettere in comune, può diventare digeribile per tutti. Ma non risolutiva, perché questo strumento nascerebbe già depotenzia­to e non potrebbe mai raggiunger­e le molte centinaia di miliardi di euro sperati dai Paesi del Sud.

Il diktat ai ‘latini’

Il Mes è quindi imprescind­ibile. Non a caso è stato l’oggetto del duro confronto di martedì notte. L’Olanda, spalleggia­ta da Austria e Finlandia, non vuole ridurre troppo le condizioni per accedere agli aiuti del vecchio salva-Stati. È disposta ad azzerarle solo se i fondi vengono spesi per la sanità. Non vuole una riedizione della troika, ma insiste per lasciare alcune condiziona­lità di tipo macroecono­mico. Ovvero: riforme e conti in ordine in cambio di aiuti. “Il Mes è prestatore di ultima istanza e secondo noi l’uso di questo fondo deve avvenire con una forma di condizioni", ha ribadito il ministro olandese delle finanze, Wopke Hoekstra. L'importante è tenere in riga quegli spendaccio­ni dei latini, costi quel che costi (all’Europa, s’intende).

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KEYSTONE Eurovirus

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