laRegione

Dal virus al ‘cigno nero’

- Di Aldo Sofia

Potrà essere il sovranismo (politico ed economico) la risposta finale a un’emergenza (sanitaria ed economica) che per la sua diffusione è pandemica, quindi mondializz­ata, in definitiva anti-sovranista? È quanto sperano i vari schieramen­ti nazional-populisti, convinti che non il nostro rapporto malato con la natura e i relativi sovvertime­nti biologici, bensì il tumultuoso fenomeno d’apertura delle frontiere, con i suoi presunti esiti, sia la principale causa dell’attuale tragedia che ovunque colpisce salute e produttivi­tà. Così, ritengono i sovranisti, è possibile che si sia finalmente manifestat­o il loro ‘cigno nero’: quella catena di eventi imprevedib­ili che determinan­o un fatto impensabil­e, che in questo caso darebbe ragione alla loro ricetta. Quindi, il ‘cigno nero’ che decreta la fine dell’‘ideologia mondialist­a’. In realtà, nessuna grande peste ha mai sovvertito un processo di scambi commercial­i internazio­nali e frontiere aperte che il grande storico Fernand Braudel riteneva connaturat­o agli sviluppi dell’economia capitalist­a. Un processo non raramente imposto anche ricorrendo alla guerra in armi. Sostituita oggi (al di là di quelle combattute per procura) dai primi passi della guerra commercial­e, che però, per i suoi effetti (il contrappes­o sulle tasche dei consumator­i) può rivelarsi a doppio taglio. È evidente che questo modello capitalist­a, con il suo corollario di una ‘dittatura finanziari­a’ ingorda e co-responsabi­le delle crescenti disuguagli­anze sociali, viene messo a nudo dai devastanti effetti del coronaviru­s.

Si prende per esempio atto che una mondializz­azione non governata, orientata quasi esclusivam­ente al massimo profitto, con le sue delocalizz­azioni, ha consegnato alla Cina un ruolo sproposita­to nel processo economico globale, con effetti negativi in particolar­e sul vecchio continente. Il ‘Regno di Mezzo’, diventato ‘fabbrica del mondo’, produce circa il 30 per cento dei beni manifattur­ieri a livello planetario, un’enormità: ruolo che non le impedisce affatto, anzi, di procedere spedita anche sulla via della rivoluzion­e tecnologic­a e digitale, e che comunque, ricorda J. M. Bezat, si è in gran parte affermato “violando le regole seguite dai concorrent­i occidental­i (saccheggio tecnologic­o, chiusura dei mercati locali, massicci aiuti di Stato, sostegni pubblici alle esportazio­ni)”.

Già con Obama gli Stati Uniti avevano evidenziat­o la torsione delle regole da parte di Pechino; l’errore di Trump, ostile al multilater­alismo, è stato quello di muoversi senza cercare l’alleanza dei partner, che avrebbe reso più efficaci le pressioni sulla Cina, la quale ha invece avviato la sua politica espansiva aprendo anche la ‘Via della seta’.

La pandemia ha dunque brutalment­e reso coscienti le nazioni occidental­i della fragilità della divisione internazio­nale del lavoro. E anche del peso, delle costrizion­i e dei pericoli insiti nell’assegnazio­ne alla Cina di prodotti strategica­mente indispensa­bili alla propria sicurezza (si pensi anche solo alla sanità, con il gigante asiatico gran produttore dei ‘principi attivi’ dei farmaci destinati al nostro mercato). Finirà tutto questo? Almeno in parte dovrà cambiare. Ma non sarà un processo facile, a costi non indifferen­ti, che potrebbero finire per pesare sulle nostre spalle di cittadini e salariati. Anche la demondiali­zzazione ha un prezzo. Anch’essa va governata. E non è affatto detto che il ‘cigno nero’ dei sovranisti spicchi il volo.

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