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Il mondo appeso a un filo

Il mondo appeso a un filo

- Di Beppe Donadio

Ce ne faremo una ragione. Faremo carezze ai nostri modem, sempre surriscald­ati perché siamo tutti appesi a un filo, non soltanto per questioni di precarietà. Questo è, nell’immediato, il formato della musica che dobbiamo attenderci per ritrovarci un giorno tutti insieme: quello di ‘One World: Together at Home’, maratona social-televisiva andata in onda nella notte tra sabato e domenica permettend­oci così di cantare tutti insieme, ma sempre ‘Ognuno a casa sua’, citando il nome di questa rubrica. Cantare in coro con qualcuno, per il momento, è cosa che può accadere solo se abbiamo la fortuna di avercelo in casa, quel qualcuno, visto che i raduni di folla sono diventati fantascien­za e in questo Cantone non se ne vedranno almeno sino al 31 luglio, data dopo la quale non saranno comunque bagni di folla (forse bagnetti, o pozzangher­e). Ma il concertone del weekend, che non poteva essere un live come già i precedenti, ce lo facciamo bastare anche a spizzichi e bocconi preregistr­ati.

Perché pur nella freddezza di un tempo non reale, ‘One World: Together at Home’ è stato comunque “big stuff”, per dirla con gli anglofoni (che “tanta roba” non si può più sentire). Più che un concertone, “una lettera d’amore”, parole di Lady Gaga che ha tenuto insieme il tutto e prima del gran finale ha cantato ‘Smile’, un po’ di Chaplin (l’autore) e un po’ Nat King Cole. Una lettera d’amore “per tutti coloro che rischiano la propria vita per garantire la nostra” (in verità, prima di Lady Gaga questa frase l’aveva detta Marco Zappa), ovvero medici e infermieri in primis e a seguire tutti gli altri, a concederci la nostra quotidiana forma di normalità. La collaboraz­ione Lady Gaga+Global Ciziten, organizzaz­ione che vorrebbe sconfigger­e la fame nel mondo entro il 2030, ha fruttato 35 milioni di dollari da destinarsi all’Oms. Per la felicità di Donald Trump.

Voyeurismo buono/sana curiosità

Lo show. Gli interventi in video di medici, infermieri e tutto ciò che nel mondo si muove sul fronte della lotta al nuovo male, si alternano ai contributi di stelle e stelline del pop e del rock collegate dai diversi angoli di casa propria, in una modalità che alimenta un certo voyeurismo, o sana curiosità, su quale gusto essi abbiano nell’arredare gli spazi e tutto quel generale (ma moderato) farsi gli affari altrui. Per scoprire che Jennifer Lopez ha un giardino da sogno (canta ‘People’ di Barbra Streisand tra lucine e autotune), che Sheryl Crow ha una collezione di chitarre da fare invidia a Eric Clapton (qualcuna sarà anche di Eric, hanno convissuto), che Zucchero, in quello che pare un salotto, canta al pianoforte ‘Everyboy’s gotta learn something’ (versione originale di ‘Indaco dagli occhi del cielo’) in una stanza in cui i cd occupano ogni ripiano, purché orizzontal­e.

Per la categoria ‘Salotti (o quelli che paiono tali)’, si entra in quello di Paul McCartney, seduto a un vecchio piano Rhodes per eseguire ‘Lady Madonna’ dopo avere ricordato la madre infermiera ai tempi della Seconda guerra mondiale. Per la categoria ‘Camere da letto’, invece, quella di Charlie Puth che vicino al letto ci tiene un pianoforte verticale (il letto è ancora da rifare: non perché si è in mondovisio­ne uno deve per forza cambiare le sue abitudini). Per la categoria ‘Outdoors’, i Beckham introducon­o Elton John, che al nero pianoforte messo nel giardino di casa si produce, con gli affanni di un 73enne, in ‘I’m still standing’ (‘Sono ancora in piedi’, dichiarazi­one di resilienza).

I sopravviss­uti (chi meglio di loro)

‘One World’ non è concetto scelto a caso. Gli inserti regalano anche un ‘Best of ’ della musica dai balconi che va dal Massachuss­ets a Madrid, dalla Georgia a Windsor, dal soprano che a Roma canta arie d’opera dal terrazzo alla polizia spagnola che suona musica popolare in una strada di Mallorca. In questo condivider­e musica, è bello anche il tormentone ‘Despacito’ cantato da Luis Fonsi con band acustica e rispettosa delle “norme igieniche accresciut­e e di distanza sociale” (cit.). António Guterres, portoghese segretario generale delle Nazioni Unite ma non troppo, ricorda come "“il linguaggio universale della musica” vuole celebrare i salvatori di vite. Quali migliori parole per introdurre quattro sopravviss­uti a ogni tipo di sostanza, i Rolling Stones ‘ognuno a casa sua’: quattro riquadri neri con sopra scritto ‘Keith Cam’, ‘Ronnie Cam’, ‘Charlie Cam’, ‘Mick Cam’; “Siete pronti?”, chiede Jagger, tra due tende che paiono un sipario e due dipinti che varranno una fortuna; parte ‘You can’t always get what you want’ e appaiono, nell’ordine, Keith Richards sul divano con una innocua birretta, Ron Wood da un soppalco con palme, e il capolavoro della serata: Charlie Watts che finge di percuotere contenitor­i vuoti, perché la batteria è pre-registrata. Watts, lo si capisce dalla faccia, se la spassa più di tutti gli altri.

E tutto il resto

Ci sono anche: un po’ di Queen nella persona di Adam Lambert, il dopo-Mercury; Billy Ray Cyrus, papà di Miley; Eddie Vedder (Pearl Jam) che canta ‘River cross’ seduto a un vecchio harmonium; John Legend e Sam Smith in ‘Stand by me’; Keith Urban, marito di Nicole Kidman che alla fine di ‘Higher love’ di Steve Winwood viene a dire ‘Ciao’. E Billie Eilish, sempre con il suo look da puzzola, che canta ‘Sunny’. C'è anche un po’ di Hollywood: Pierce Brosnan dalle Hawaii e Mattew McConaughe­y da casa sua, certi entrambi che ne usciremo meglio di prima (?). C’è anche il grazie di Melinda e Bill Gates, ottimisti che un vaccino salterà fuori presto (?). Un grazie congiunto arriva dalle ex first ladies Laura Bush e Michelle Obama; Oprah Winfrey cita Mandela – “Il coraggio non è l’assenza di paura, ma il trionfo su di essa” – e ha un pensiero per la popolazion­e di colore del Sud Africa. Nell’equilibrio complessiv­o, è la sola Beyoncé a osare: “Le comunità afro-americane vivono condizioni preesisten­ti e un rischio altissimo”. Cita Houston, la sua città: “È afro-americano il 57% dei deceduti”. Il meglio? Nell’ordine: il gran finale con Lang Lang al piano ad accompagna­re Céline Dion, Lady Gaga, John Legend e Andrea Bocelli in ‘The prayer’; Stevie Wonder che ricorda Bill Withers con ‘Lean on me’; Renaud Capuçon e la ‘Temporary Orchestra’ con Yo-Yo Ma al violoncell­o, uniti dal metronomo da Berlino alla Florida nel ‘Carnaval des animaux’ di Camille Saint-Saëns; Annie Lennox che ora è la voce più originale al mondo, ma solo perché Aretha Franklin si è voluta risparmiar­e tutto questo casino, canta ‘Into the west’ e (non a caso) ‘There must be an angel’ a distanza con la figlia Lola. E infine, affidandos­i all’Altissimo, Jennifer Hudson nell’immancabil­e ‘Hallelujah’ di Cohen, Hozier con ‘Take me to church’ per soli piano e voce, e quell’intonato di Michael Bublé in ‘God only knows’, un inno all’amore che l’Unesco dovrebbe tutelare, scritto da Brian Wilson dei Beach Boys, dal titolo che vale anche per chi, per questa catastrofe, si sta chiedendo God dove diavolo sia.

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KEYSTONE 'One World: Together at Home', maratona social-tv con le stelle del rock e del pop. Come allo stadio, ma da soli

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