laRegione

Il virus al Carnevale, ma non era uno scherzo

La lettura dell’emergenza di Christian Camponovo

- Di Cristina Ferrari

“Una ventina di anni fa, quando mi ero trasferito – profession­almente parlando – dalla ricerca applicata al settore della sanità, negli ospedali si iniziava a parlare dell’errore umano. Quel semplice concetto mi è restato ben stampato nella testa ed è diventato l’elemento chiave che utilizzo per analizzare le più disparate situazioni. Cerco di farlo anche oggi, in piena epidemia Covid-19, perché analizzare gli ultimi mesi, dalla ‘nascita’ del virus a oggi, alla ricerca di cosa abbia funzionato e cosa no, è fondamenta­le per prepararci al meglio alla prossima fase della lotta al virus”. Comincia così la lettera che il direttore della Clinica Luganese Moncucco di Besso, Christian Camponovo, ha inviato a collaborat­ori e collaborat­rici. Una decina di pagine nelle quali si parla di coronaviru­s portando a una seria riflession­e sulle ultime sei settimane, sul cosa si sia sbagliato e sul cosa si sarebbe potuto fare meglio.

“Bisogna ammetterlo e farne tesoro – non manca di annotare Camponovo facendo riferiment­o a Wuhan –, la diagnosi di cosa sarebbe successo di lì a poche settimane, direi quasi giorni, è stata completame­nte mancata”. Un’analisi la sua – come ha spiegato ieri a ‘laRegione’ che gli chiedeva spiegazion­i sull’intervista diretta e per certi versi spinosa rilasciata a ‘ilCaffè’ – “necessaria affinché la prossima volta ci si trovi pronti a muoverci più rapidament­e”. Un viaggio il suo, infatti, a ritroso: “Malgrado evidenti segnali, dalle autorità un assordante silenzio”. Un viaggio alle origini della pesante crisi sanitaria (e ora sempre più economica e sociale) che ha stretto, e continua a stringere, fra dolore e preoccupaz­ione il mondo intero. E il suo è un indice puntato soprattutt­o su chi non ha saputo ascoltare per tempo i segnali di quel ‘qualcosa di sinistro’ che da Oriente si stava propagando con folle velocità in Europa e quindi in Ticino. Christian Camponovo non riserva critiche a quella politica del “diagnostic­a e isola” che, secondo il direttore si è dimostrata un fallimento totale. Dall’altra, non dimentica di ricordare i campanelli di allarme rimasti all’inizio inascoltat­i, a cominciare dal primo contagiato, un quarantenn­e sportivo, intubato in Lombardia “che aveva dimostrato che il coronaviru­s che avevamo snobbato era ben più grave di una normale influenza”. Ripercorre­ndo lo sviluppo del Covid-19 in Ticino, Camponovo spiega quali sono stati, a suo parere, gli errori dell’approccio iniziale alla pandemia. A partire dallo svolgiment­o del Rabadan: “Il 21 febbraio, era il venerdì di Carnevale, ho letto che all’ospedale di Codogno era stato diagnostic­ato il primo caso. Mi era bastata questa notizia per farmi fortemente dubitare della partenza per la settimana bianca. Non solo il coronaviru­s era arrivato nel Nord Italia, ma si era ‘insediato’ nel modo più subdolo almeno in una struttura sanitaria”. Il direttore della clinica, diventata poi con l’ospedale La Carità di Locarno nosocomio riservato ai soli pazienti Covid, ricorda come nel weekend che ha preceduto il primo caso ticinese e svizzero (tra il 22 e il 23 febbraio) “la maggior parte delle persone, compresi i tanti profession­isti del settore della salute, non si rendevano conto di cosa ci attendeva”. A pesare sulla forte propagazio­ne del Covid sono stati anche “la scarsità di materiale diagnostic­o, la difficoltà di far giungere i tamponi da Ginevra e i tempi di reazione dell’apparato amministra­tivo”. Ma quali autorità? “Svizzere e ticinesi. Il silenzio era interrotto da rassicuraz­ioni a proposito della sicurezza della manifestaz­ione in corso”. Camponovo non manca di esprimere critiche all’Ufficio federale della sanità pubblica che “non ci stava aiutando”. Fino a inizio marzo, aggiunge, non avrebbero insomma “prodotto scenari di crisi”. Il primo, redatto tra il 6 e il 7 marzo, sarebbe stato frutto infatti della collaboraz­ione tra Eoc e la stessa Clinica.

Frecciatin­e neppure troppo velate come quella rivolta al dottor Giorgio Merlani, poi contagiato a sua volta dal coronaviru­s e in questi ultimi giorni in quarantena: “Erano i tempi nei quali il medico cantonale, intervista­to alla radio, affermava che sarebbe stato più probabile incontrare al Carnevale Miss Mondo piuttosto che il virus...”.

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TI-PRESS Il direttore della Clinica Luganese Moncucco (a sinistra) e il dottor Christian Garzoni

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